Il termine di 60 giorni per comunicare i dati del conducente nel caso di sanzioni amministrative che prevedono la decurtazione dei punti della patente decorre dalla data di notifica del verbale principale e non dalla definizione dell’eventuale procedimento di opposizione dell’infrazione. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, con la sentenza 18027/2018, depositata il 9 luglio. La sentenza disattende la circolare del 29 aprile 2011 del ministero dell’Interno, che aveva stabilito che chi fa ricorso contro una multa non deve comunicare i dati del conducente prima della fine del giudizio.
Il risultato di questa differenza di orientamenti, emersa negli ultimi anni è che la Polizia stradale tende a seguire la prassi ministeriale. Tanto da indicare, nelle istruzioni allegate ai propri verbali, che, in caso di ricorso, il nome del conducente va indicato solo se tale opposizione viene respinta. E questa indicazione dovrebbe essere sufficiente a dimostrare la buona fede dell’interessato, in caso di contestazioni. Le polizie locali, invece, tendono a seguire la Cassazione.
L’orientamento della Cassazione sposta indietro il termine entro il quale il proprietario deve comunicare all’ente accertatore chi era alla guida al momento dell’infrazione. Per i giudici, quello previsto e sanzionato dall’articolo 126-bis del Codice della strada, è un illecito istantaneo del tutto autonomo rispetto all’infrazione che ne costituisce il presupposto e pertanto l’impugnazione di quest’ultima non sospende l’obbligo di comunicazione dei dati.
Quindi, a prescindere dall’esito del ricorso, il proprietario ha l’obbligo di collaborare con la pubblica amministrazione al fine di rendere noti i dati del conducente, senza attendere l’esito del giudizio sull’infrazione principale.
Una pronuncia da tenere in considerazione: la sanzione per omessa comunicazione dei dati del conducente applicata quando il corpo di polizia segue l’orientamento della Cassazione è di 284 euro.
Sul punto era intervenuta anche la Corte costituzionale con l’ordinanza del 20 novembre 2009, n. 306, che aveva escluso l’illegittimità della norma laddove prevedeva l’obbligo, a carico del proprietario del veicolo, di comunicazione dei dati personali e della patente del conducente non identificato al momento dell’infrazione al Codice della strada, prima dell’intervenuta definitività dell’accertamento della violazione. Per la Consulta infatti l’articolo 126-bis del Codice della strada intende sanzionare un’autonoma infrazione, ovvero l’omissione della collaborazione che il cittadino deve prestare all’autorità preposta alla vigilanza sulla circolazione stradale. Cosa succede allora se il verbale presupposto viene notificato in ritardo, ovvero oltre i 90 giorni previsti dalla legge? In questo caso, il proprietario può legittimamente non ricordare chi fosse alla guida al momento dell’infrazione, dato il lungo tempo trascorso. Questa volta la Cassazione viene in soccorso al proprietario, che però dovrà impugnare il verbale di omessa comunicazione del ritardo per far valere le proprie ragioni e sperare di farsi annullare il verbale.
In questi casi, l’annullamento in autotutela, guidato dal buon senso, potrebbe certamente alleggerire il contenzioso davanti al giudice di pace e le pendenze del Prefetto.
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