La Brexit non impedisce l'esecuzione del mandato d'arresto europeo. Lo mette nero su bianco l'Avvocato generale della Corte di giustizia Ue (Causa C-327/18 PPU) puntualizzando che il sistema basato sul rapporto diretto tra autorità giudiziarie, sorpassando il meccanismo dell'estradizione,
continuerà a essere applicato fino a quando il Regno Unito continuerà a essere uno Stato membro. A rivolgersi alla Corte di
giustizia europea era stata l'High court irlandese.
L'avvocato generale ribadisce anzitutto che il principio del reciproco riconoscimento tra gli Stati membri, fondato sulla fiducia reciproca, implica che l'esecuzione del mandato costituisce la regola e il rifiuto di eseguirlo un'eccezione che dev'essere oggetto di interpretazione restrittiva. L'avvocato generale osserva che nel caso di specie non ricorre alcuno dei motivi obbligatori o facoltativi di non esecuzione del mandato. In particolare, il giudice irlandese ha concluso che, ad eccezione delle conseguenze della Brexit, non si pone alcuna questione distinta relativa all'eventuale trattamento inumano o degradante in caso di consegna al Regno Unito.
Nelle conclusioni, l'Avvocato generale esamina poi se la notifica da parte del Regno Unito della sua intenzione di recedere dall'Unione incide sulla valutazione giuridica che occorre svolgere in rapporto all'esecuzione del mandato. Egli respinge l'argomento secondo cui la notifica di recesso del Regno Unito costituirebbe una circostanza eccezionale tale da imporre la non esecuzione del mandato. A suo avviso, fino a che il Regno Unito non sarà uscito formalmente dall'Unione andrà applicata la decisione quadro sul mandato d'arresto. Inoltre, non c'è ragione di temere un abbassamento delle garanze di rispetto dei diritti fondamentali formalizzati nella Carta Ue per effetto della decisione di recedere dall'Unione.
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