L’articolo 4-bis della legge di conversione del Decreto lavoro rimuove il limite massimo di durata dei contratti a termine nella scuola, introdotto nella precedente legislatura dal comma 131 dell’articolo 1 della legge 13 luglio 2015, n. 107 (la cosiddetta Buona Scuola). Questa norma stabiliva, dal primo settembre 2016, il divieto di superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi, per i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con il personale docente, educativo, amministrativo, tecnico e ausiliario presso le istituzioni scolastiche ed educative statali.
Il limite massimo di durata era stato introdotto per porre freno all’ondata di ricorsi dei supplenti che chiedevano un risarcimento del danno per aver lavorato sulla base di contratti a termine rinnovati continuamente nel tempo, senza un limite massimo di durata; situazione, questa, che dopo essere stata a lungo tollerata dalla giurisprudenza, negli ultimi anni era stata finalmente ritenuta illegittima, non essendo considerata compatibile con le norme comunitaria l’assenza di qualsiasi limite massimo di durata dei rapporti a termine nella scuola.
Un momento cruciale della vicenda è rappresentato dalla sentenza della Corte di giustizia del 26 novembre 2014 (cosiddetta Sentenza Mascolo), che ha giudicato illegittima la normativa italiana nella misura in cui autorizzava la reiterazione senza limiti dei contratti a termine senza fissare tempi certi per l’espletamento dei concorsi. Questa pronuncia ha orientato la giurisprudenza della Cassazione, la quale – in maniera coerente – ha precisato che la reiterazione dei contratti a termine degli insegnanti e del personale tecnico e amministrativo della scuola si configurava come un abuso quando, per effetto dei diversi rinnovi contrattuali, la durata complessiva del rapporto superava i 36 mesi.
Successivamente, la vicenda è passata nelle mani della Corte costituzionale, che con la sentenza n. 187/2016 ha ribadito l’illegittimità delle norme nazionali.
In questo assetto, la norma della Buona Scuola appena abrogata dalla legge aveva un duplice pregio: poneva un limite alla reiterazione infinita dei contratti a termine (nello spirito delle regole comunitarie, che impongono la fissazione di un argine all’eccessiva reiterazione dei rapporti a tempo) e, allo stesso tempo, evitava di esporre lo Stato italiano all’obbligo di pagare copiosi risarcimenti ai docenti utilizzati per periodi superiori ai 36 mesi.
Ora che la norma viene cancellata, si riapre la partita giudiziaria: essendo venuto meno l’argine necessario ad evitare la reiterazione dei contratti a termine, è infatti pressoché certo che riprenderanno le sentenze di condanna dello Stato, in tutti i casi di superamento dei 36 mesi complessivi di lavoro.
La scelta di cancellare il limite risulta, peraltro, incoerente con le norme comunitarie sul lavoro a tempo determinato (che impongono la fissazione di un limite di durata massima, senza eccezioni) e si pone in netto contrasto anche con l’intero impianto del Decreto lavoro, che per il settore privato prevede la riduzione della durata massima dei contratti a termine a 12 mesi, unita alla reintroduzione delle causali (in versione molto restrittiva) per i casi di allungamento sino a 24 mesi.
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