«Al momento posso stipulare un accordo con le università di Germania, Francia e Svizzera per avviare un double degree ma non posso farlo con quelle di Napoli, Torino o Bologna». Bastano queste parole del rettore del Politecnico di Milano,
Ferruccio Resta, a spiegare la portata dell’operazione sulle doppie lauree che il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti ha messo in agenda e che potrebbe tramutarsi da qui a breve in un emendamento al disegno di legge di bilancio. Come? Cancellando
con un tratto di penna il divieto di iscrizione a più di un corso di laurea che vige da 85 anni.
Un divieto che impedisce agli atenei italiani di prevedere nella loro offerta formativa la formula dei «due titoli in uno»
erogati sul territorio nazionale. Al momento gli unici consentiti sono i double degree organizzati in collaborazione con le accademie straniere. Che garantiscono al laureato di vedersi riconosciuto il titolo
contemporaneamente da noi e in un altro Paese. Raddoppiando nei fatti le chance di trovare lavoro.
GUARDA IL VIDEO / Salta il divieto del 1933 di doppia laurea: fra poco due in un solo colpo
L’appeal delle doppie lauree
A giudicare dagli ultimi numeri, in Italia, il fenomeno delle doppie lauree dal profilo internazionale appare sempre più diffuso.
Con 851 corsi totali, aumentati del 44% rispetto all’anno accademico 2017/18 e quasi triplicati sul 2011/2012 (quando erano
304). Complessivamente, l’anno scorso sono stati più di 32mila studenti dei corsi con titolo doppio o congiunto, a fronte
dei 29mila dell’anno precedente e ai 19mila del 2014/15 (si veda Il Sole 24 Ore di lunedì 28 maggio). A dimostrazione di come
il mercato dell’offerta universitaria integrata - con sei mesi o un anno di didattica erogata da una facoltà straniera - sia
più vivo che mai interviene anche un altro argomento. E cioè che soluzioni del genere si trovano sia nel bouquet di corsi
della Bocconi, che ormai 30 anni fa ha avviato l’esperienza del programma Cems, che dell’università di Palermo o Napoli. Ormai
per tutti gli indirizzi. In testa, con 161 proposte, ci sono le Scienze economico-aziendali. Seguite da Ingegneria civile
(71) e Scienze dell’economia (55).
La proposta del Miur
Se i double degree nascono soprattutto con l’esigenza di aumentare le skill internazionali dei nostri ragazzi, migliorando anche le loro conoscenze
linguistiche, l'idea a cui sta lavorando il Miur punta a invece a creare delle professionalità più in linea con le nuove sfide
lanciate dal mercato del lavoro. Sul modello di quanto sta accadendo nei Paesi Bassi o in Svizzera. Per riuscirci basta una
norma di una riga che dica: è abrogato l’articolo 142 del regio decreto 1592 del 1933. In base al quale, attualmente, è «vietata
l’iscrizione contemporanea a diverse università e a diversi istituti d’istruzione superiore, a diverse facoltà o scuole della
stessa università o dello stesso istituto e a diversi corsi di laurea o di diploma della stessa facoltà o scuola». A disporre
l’abrogazione dovrebbe essere un emendamento alle legge di bilancio che il Miur ha messo a punto nei giorni scorsi. Cancellare
l’articolo 142 consentirebbe agli studenti di seguire più di un corso in contemporanea e agli atenei di fare squadra allargando
la loro offerta formativa. Con il solo paletto che non sarebbe comunque possibile iscriversi a due facoltà entrambe a numero
chiuso.
Gli effetti pratici
Nelle intenzioni del ministero c’è già una possibile applicazione immediata della modifica allo studio. E riguarda la creazione
di figure professionali che lavorano alle nuove frontiere della ricerca. L’esempio classico è quello delle lauree in Medicina
e in Ingegneria biomedica che già oggi hanno molti punti in comune ma non raggiungono l’80% di sovrapposizione di crediti
formativi e dei settori scientifici disciplinari richiesti per avviare un corso interclasse. Tra gli atenei che si lancerebbero
in questa nuova avventura spicca il Politecnico di Milano che già oggi ha in carniere 75 accordi per l’erogazione di doppie
lauree. Sia in ambito Ue che extra Ue. La conferma al Sole 24 Ore la fornisce il rettore Ferruccio Resta che definisce quella
allo studio del governo «una semplificazione importante, una tipica riforma a costo zero di cui si parla poco ma che cambierebbe
la vita a chi fa il nostro mestiere». Il perché lo spiega lui stesso: «Serve un’interdisciplinarietà sempre più spinta. Ad
esempio tra le scienze umane e le scienze tecnologiche che stanno correndo insieme». Eliminare il divieto di iscriversi a
due corsi di laurea consentirebbe agli atenei - aggiunge - di fare sinergie con altre realtà di eccellenza senza duplicare
l’offerta formativa. In che ambiti? Ingegneria e medicina sicuramente, ma anche design, architettura e food. In pratica, il
cuore pulsante del made in Italy.
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