C’era una volta il lampeggio di avvertimento. Cioè il guidatore che ti avvisava con ripetuti colpi di fari abbaglianti che a breve avresti trovato una pattuglia appostata a bordo strada per controlli. Troppo rischioso, quando le forze dell’ordine decidono di dare una stretta. Oggi si può fare in modo molto più discreto (ma anche infinitamente più pericoloso) prendendo in mano il telefonino e avvisando i propri contatti su Whatsapp. Ma si rischia anche così: ieri la Polizia di Agrigento ha denunciato 62 persone per interruzione di pubblico servizio.
Senza contare che da circa un decennio la tecnologia ha di fatto istituzionalizzato gli avvertimenti, con navigatori interattivi che collegano i loro possessori a una community di conducenti che segnala a tutti gli altri membri tutte le difficoltà che incontra sul suo percorso. Quindi anche gli appostamenti di pattuglie. Fondamentalmente, una versione moderna delle comunicazioni radio da sempre diffuse fra gli autotrasportatori e fra i radioamatori.
Gli avvisi via Whatsapp
Telefonini, smartphone e social network hanno permesso un salto di qualità. Tanto che, nel caso di Agrigento, i denunciati si erano organizzati, costituendo un gruppo su Whatsapp.
Normalmente i gruppi sui social agevolano il lavoro delle forze dell’ordine, per esempio quando i cittadini che abitano in una zona si scambiano segnalazioni su movimenti sospetti, furti eccetera. E gli stessi appartenenti alle forze dell’ordine hanno loro gruppi informali a livello territoriale, perché hanno capito che così certe informazioni possono circolare più rapidamente tra i diversi corpi di polizia, con benefici per tutti.
Però il discorso può valere anche in senso contrario: gli investigatori della Polizia di Agrigento hanno descritto all’Ansa
il gruppo dei 62 denunciati come «un sistema efficace che finiva per vanificare il buon esito del controllo del territorio intrapreso. Da qui la contestazione dell'ipotesi di interruzione
di pubblico servizio».
Il reato e le sanzioni
L’interruzione di pubblico servizio si ha quando si «cagiona una interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità». Il reato è punito con la reclusione fino a un anno; se si individuano i capi, promotori od organizzatori della turbativa, la reclusione va da uno a cinque anni. Tutto questo è previsto dall’articolo 340 del Codice penale e la Cassazione ha stabilito che occorre dimostrare proprio che ci sono state conseguenze sulla regolarità del servizio (sentenza 1899/1997).
Dunque, una formulazione generica (tale da poter abbracciare vari comportamenti, ma rischiando che poi il giudice non ravvisi l’esistenza del reato, anche perché ci si può ci si può difendere con molte argomentazioni, più o meno fantasiose) e una pena bassa. Questo spiega come mai le forze dell’ordine denuncino solo raramente chi segnala agli altri utenti della strada la presenza delle pattuglie.
Era così anche in passato, quando anche una singola denuncia faceva notizia e fece scalpore un’operazione dei Carabinieri in Piemonte, con l’appostamento di una pattuglia visibile a fare da esca e di altre due nascoste a cogliere i lampeggi di avvertimento di chi l’aveva appena vista.
In ogni caso, la denuncia penale ha maggiore deterrenza rispetto alla sanzione alternativa: la semplice sanzione amministrativa di 42 euro (più la decurtazione di un punto dalla patente) prevista dall’articolo 153 del Codice della strada per uso improprio delle luci.
Come si scopre il reato
Il caso di Agrigento pare confermare che le denunce sono ben rare: per quel che ha ricostruito l’Ansa, tutto è partito non da un’attività d’indagine mirata, ma dal semplice ritrovamento di uno smartphone su cui è poi stata notata la chat con il gruppo organizzato.
Però non è il caso di sentirsi troppo tranquilli: in caso di incidente grave, ormai molte Procure hanno adottato la prassi di sequestrare i cellulari dei guidatori coinvolti, per cercare di capire se al momento dell’urto qualcuno li stesse azionando. In questo modo si possono anche scoprire le chat di segnalazione. E non è così improbabile causare un incidente, quando ci si distrae dalla guida per il tempo necessario a digitare il messaggio di avvertimento: si può percorrere anche più di un chilometro alla cieca.
I navigatori interattivi
Può causare pericoli anche la distrazione necessaria per inviare una segnalazione con un navigatore collegato a una community. Ma è una distrazione minore rispetto a quella causata da Whatsapp: il dispositivo è già predisposto per inviare allarmi standard, per cui occorre guardare e toccare lo schermo per un tempo di solito molto minore di quello richiesto per digitare un messaggio.
Bisogna però evitare di inviare segnalazioni sugli appostamenti delle pattuglie, nel caso il navigatore lo rendesse possibile: si ricadrebbe proprio nel reato di interruzione di pubblico servizio.
Non solo: un navigatore che indicasse non solo l’ubicazione dei misuratori di velocità permanenti che funzionano in automatico ma anche quella degli apparecchi piazzati di volta in volta da agenti presenti sul posto potrebbe essere confiscato. e comportare una “multa” (intesa come sanzione amministrativa) di ben 827 euro.
Infatti, dal 2000 l’articolo 45, comma 9-bis, del Codice della strada vieta l’uso di dispositivi che segnalino e localizzino i rilevatori di velocità. La Cassazione (sentenza 3853/2014, che conferma l’interpretazione data dal ministero dell’Interno con una circolare del 6 luglio 2007) ha chiarito come ciò si possa conciliare con l’obbligo di presegnalare e rendere ben visibili le postazioni di controllo velocità, introdotto nel 2007:
- è lecito indicare tutti i casi in cui l’utente della strada non ha la certezza che il controllo sia effettivamente in atto, come per esempio la presenza di una postazione fissa non presidiata da agenti;
- è vietato segnalare i casi in cui l’utente possa avere la ragionevole certezza che il controllo sia attivo, cioè quelli in cui ci sono agenti vicino a un misuratore di velocità (installato temporaneamente a lato della strada o a bordo di un veicolo di servizio).
Ancora tutto da inquadrare è il servizio di Waze che può fornire la dislocazione delle pattuglie in una certa zona. Qui subentrano anche preoccupazioni in caso di attentato: i terroristi possono essere favoriti nella scelta del momento “giusto” per l’attacco, come accaduto in Francia nel 2014.
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