Oltre un terzo delle famiglie beneficiarie del reddito di cittadinanza - 500mila su poco più di 1,3 milioni - non dovrà sottoscrivere né il Patto per il lavoro, né quello di inclusione. Lo calcola
l’Upb nelle risposte scritte inviate alla Commissione Lavoro del Senato in seguito all'audizione sul decretone, mentre continua
il confronto a distanza tra le due anime del Governo sulle possibilità di rinnovo del sussidio di contrasto alla povertà.
Da un lato il sottosegretario all'Economia della Lega, Massimo Garavaglia, commenta così la decisione di accantonare l’emendamento della Lega che prevede che il reddito possa essere rinnovato una
volta sola: «È evidente che questo tema va chiarito. Abbiamo sempre detto che non può essere sine die, per il singolo. Per
definizione le politiche attive sono fatte per trovare lavoro». Dall’altro, la replica del sottosegretario al lavoro Claudio Cominardi (M5s): «Il reddito di cittadinanza è una misura strutturale necessaria per fare fronte alla diffusa e crescente piaga della
povertà, che di certo non si combatte in un anno o in un anno e mezzo. Detto questo, va tenuto ben presente che l’idea di
un reddito di cittadinanza che non fosse di per sé “illimitato” è già ben presente nel disegno di legge depositato al Senato
nel 2013 dal Movimento 5 Stelle».
PER SAPERNE DI PIÙ / Dossier reddito di cittadinanza
L’identikit delle famiglie tratteggiato da Upb
Secondo le elaborazioni di Upb, le famiglie che potranno accedere al reddito di cittadinanza si dividono - in base ai criteri
previsti dalla normativa e delle caratteristiche dei propri componenti - in tre diverse “categorie”: il 37%, circa 500mila
famiglie, risulterebbe senza obblighi di alcun genere, il 26% (poco più di 330mila) verrebbe inizialmente inserito nel percorso
lavorativo e il restante 37% in quello di inclusione gestito dai Comuni.
Un’analisi della composizione delle diverse tipologie di nuclei familiari - si legge nel testo dell’Autorità indipendente
- evidenzia comunque una forte eterogeneità interna dei componenti (circa 3,6 milioni), eccezion fatta per le famiglie
senza obblighi.
In particolare, nelle famiglie assegnate al percorso lavorativo come punto di ingresso si riscontrano il 40% di individui «prontamente attivabili» (almeno uno per famiglia; nel complesso
risulterebbero circa 450.000 individui, il 13% del totale), il 46% di persone escluse da obblighi e il 14% di persone «non
immediatamente attivabili» nel mercato del lavoro.
Le famiglie assegnate al percorso di inclusione sono invece composte per il 47% da individui «non immediatamente attivabili» e per il 53% da persone «escluse da obblighi».
Il quadro cambierebbe in misura significativa, sottolinea l’Ubp, se la definizione di occupato (e quindi escluso da obblighi)
fosse precisata nel senso di includere gli occupati poveri nei processi di condizionalità dei centri per l’impiego. In questo
caso, gli individui «prontamente attivabili» potrebbero raggiungere le 850.000 unità.
Ma quali sono le famiglie obbligate ad “attivarsi”? Per ricevere il reddito di cittadinanza è necessario rispettare alcune “ condizionalità “ che riguardano l'immediata disponibilità al lavoro, l’adesione a un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che può prevedere attività di servizio alla comunità, per la riqualificazione professionale o il completamento degli studi nonché altri impegni finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale. Al rispetto di queste condizioni sono tenuti i componenti del nucleo familiare maggiorenni, non occupati e che non frequentano un regolare corso di studi o di formazione.
E quelle escluse?
Sono esclusi invece i beneficiari della pensione di cittadinanza, i beneficiari del reddito di cittadinanza pensionati o comunque
di età pari o superiore a 65 anni, nonché i componenti con disabilità (fatti salvi gli obblighi legati al collocamento mirato).
Possono essere esonerati anche i componenti con carichi di cura legati alla presenza di soggetti minori di tre anni di età
o di componenti del nucleo familiare con disabilità grave o non autosufficienti.
Rientrano nell’alveo della “non occupabilità” i nuclei formati esclusivamente da persone già occupate oppure da minorenni, studenti o in formazione, anziani disabili o con carichi di cura.
Queste famiglie sono escluse da qualsiasi obbligo previsto dai percorsi lavorativi e di inclusione e ricevono il sussidio economico senza ulteriori vincoli.
I nuclei familiari con almeno un componente non escluso dagli obblighi sarebbero invece inizialmente indirizzati in due diversi canali.
Dovranno essere prese in carico dai centri per l’impiego le famiglie con almeno un componente non occupato da non più di due anni; maggiorenne ma sotto i 26 anni; beneficiario - attuale o fino a non più di un anno prima - della Naspi o di un altro ammortizzatore sociale per la disoccupazione involontaria; già sottoscrittore di un patto di servizio (in corso di validità) presso i centri per l'impiego, come previsto dal Jobs act.
Tutte le altre famiglie verrebbero inizialmente prese in carico dai servizi sociali dei Comuni «con condizionalità assai meno gravose di quelle previste per il percorso lavorativo». La distinzione riguarda cioè la sottoscrizione
nel primo caso di un patto per il lavoro e nel secondo di un patto per l'inclusione sociale.
Una ripartizione dei nuclei che, secondo l'Upb, «è soggetto a una seria difficoltà interpretativa».
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