Da un lato i cervelli in fuga dall’Italia sono sempre di più. Dall’altro, i pochi che rientrano trovano amare sorpese. L’ultimo rapporto sul mercato del lavoro - bollinato da Istat, Inps, Inail, Anpal e ministero del Lavoro - evidenzia che il numero di italiani emigrati all’estero in cerca di lavoro è passato dai 40mila del 2008 ai quasi 115mila del 2017. Gli expats sono quasi triplicati in meno di 10 anni, con una perdita di “valore” notevole per il nostro mercato del lavoro italiano.
C’è però anche un drappello di talenti che decide di tornare, dopo anni passati all’estero a fare ricerca. Per alcuni, di recente, c’è stata un’amara sorpresa: il Fisco ha presentato un conto salato, con una richiesta di tassazione arretrata per il periodo trascorso oltreconfine, perché non iscritti all’Aire, l’elenco degli italiani all’estero.
Questo contenzioso è solo l’ultimo di molti che riguarda i cervelli in fuga che ora si cerca di fare rientrare in Italia, grazie ad una serie di misure del Fisco che puntano a rendere più attrattivo il nostro paese, dal bonus per i docenti e ricercatori che vengano a svolgere la propria attività in Italia, a quello per gli impatriati, passando per l’incentivo ai controesodati.
Ma, si sa, le norme bisogna saperle leggere e interpretare. E il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, ha deciso di scendere in campo al fianco dei ricercatori “rimpatriati”.
Il Capo del Dipartimento per l'Università e la Ricerca, Giuseppe Valditara, ha scritto una lettera al Direttore Generale dell'Agenzia delle Entrate che interviene sulla richiesta di rimborso avanzata nei confronti di alcuni ricercatori da parte dell'Agenzia e fondata sulla loro mancata iscrizione all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (Aire) nel periodo di permanenza fuori dall'Italia.
Il Miur, si legge nella missiva, «pur nel massimo rispetto delle attribuzioni istituzionali dell'Amministrazione finanziaria, ritiene che l'interpretazione della norma» peraltro «non uniforme sul territorio e con effetti retroattivi, non sia rispondente alle reali volontà del legislatore dell'epoca e delle istanze della comunità scientifica che ha intrapreso il percorso di rientro in Italia rinunciando a posizioni lavorative all'estero».
Per questo il Ministero auspica «una soluzione della vicenda che tenga conto primariamente degli obiettivi generali della politica scientifica italiana, volta sempre più a riacquisire capitale umano di eccellenza perché esso possa concorrere alla competitività del Paese». Il Miur chiede di valutare se, nel caso dei ricercatori, l’iscrizione all’Aire abbia un «mero valore dichiarativo», dato che, altrimenti, si rischierebbe di depotenziare la ratio della norma «volta a far rientrare i cosiddetti 'cervelli' non occasionalmente residenti all’estero».
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Inoltre, specifica il Miur, il dato relativo alla residenza «può essere riscontrato con le modalità ritenute più opportune da codesta Agenzia, oltre che con la documentazione a disposizione di questi docenti/ricercatori, che hanno pagato le tasse nei Paesi di emigrazione, soprattutto se vi è una ritenuta alla fonte, e che, a seguito del rientro in Italia, ora pagano le tasse da noi».
Il Miur fa notare anche che «il valore scientifico di questi docenti/ricercatori ripagherà ampiamente lo sgravio fiscale di cui dovrebbero beneficiare per i periodi di imposta previsti dalla legge, in quanto determinerà un aumento del reddito nazionale che, a sua volta, incrementerà il gettito fiscale» e auspica «una soluzione positiva per i ricercatori e per i docenti che, tornati in Italia, rischiano di non avere alcun beneficio fiscale».
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