Non può essere negata la protezione internazionale al migrante che dichiara di essere omosessuale se ci sono motivi per ritenere che, a causa dell’orientamento sessuale, la sua incolumità sia in pericolo in caso di rimpatrio. Prima di negare lo status di rifugiato è necessario accertare che nel paese di provenienza non ci siano leggi discriminatorie per i gay e che le autorità locali prevedano un’adeguata tutela anche nell’ipotesi di persecuzioni di tipo familiare. Partendo da questi principi la Cassazione (sentenza 11176) ha accolto il ricorso di un cittadino della Costa d’Avorio al quale era stata negata l’accoglienza .
Un no arrivato senza gli approfondimenti del caso, malgrado l’uomo avesse dichiarato di richiedere la tutela per l’assenza di protezione per le persone omosessuali nel suo Stato e di essere oggetto di gravi minacce. Il ricorrente aveva riferito di essere di religione musulmana, coniugato con due figli, e di avere intrattenuto una relazione sentimentale omosessuale. Legame che aveva suscitato il disprezzo e le accuse da parte della moglie e di suo padre, Imam del paese. La decisione di fuggire era stata presa dopo che era stato ritrovato il cadavere del proprio partner ucciso, in circostanze non note, a suo dire, ad opera di suo padre.
La Commissione territoriale di Crotone aveva negato la protezione internazionale, anche in forma sussidiaria. Per i giudici di appello non c’erano ragioni per l’accoglienza perché, dal racconto del ricorrente, «non si evinceva una situazione di pericolo grave per la persona derivante da violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato o interno». L’uomo non aveva fatto cenno, in sede di audizione davanti alla Commissione, a situazioni di violenza generalizzata, limitandosi alla sua storia personale. La Corte territoriale aveva accertato che «in Costa d'Avorio al contrario di altri stati africani, l’omosessualità non è considerata un reato, nè lo Stato presenta una condizione di conflitto armato o violenza diffusa».
La decisione, per la Cassazione, non è conforme al diritto. L’assenza di norme che vietino, direttamente o indirettamente, i rapporti consensuali tra persone dello stesso sesso, non è risolutiva per escludere la protezione internazionale. Prima di negare l’accoglienza bisogna accertare che lo stato garantisca un’adeguata protezione anche dalle minacce, gravissime nel caso esaminato, provenienti da soggetti privati. Non risulta poi, precisa la Suprema corte, che i giudici di appello abbiano espresso riserve sulla credibilità del ricorrente. La Corte d’Appello non ha valutato, nello specifico, la situazione di vulnerabilità del cittadino ivoriano e i concreti pericoli che correrebbe in caso di rimpatrio: trattamenti inumani e degradanti «e la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto dello statuto della dignità» . La Corte territoriale è chiamata a rivedere il verdetto alla luce delle indicazioni fornite.
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