Per “dribblare” le sanzioni che toccano la patente, non basta più essere alla guida di una bici elettrica: in caso di infrazione o incidente, si deve andare a guardare anche la potenza della bicicletta. Infatti, sopra un certo limite scatta l’obbligo di patente e il guidatore può subire la sospensione o la revoca della sua licenza di guida (le sanzioni accessorie sulla patente si applicano solo a chi guida un mezzo che la richieda). Così, se l’interessato presenta un ricorso o finisce sotto processo, il giudice deve verificare che tipo di bici guidasse esattamente.
Se il giudice non lo fa, ogni sua decisione che riguardi la patente va annullata. Lo ha stabilito la Quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza 22228/2019, affrontando per la prima volta il delicato tema del regolamento europeo 168/2013. Come anticipato sul Sole 24 Ore il 4 dicembre 2018, questa norma ha creato un buco nell’ordinamento giuridico italiano.
Il Codice della strada, introducendo nel 2003 la categoria delle biciclette (velocipedi) a pedalata assistita, aveva posto alla potenza un limite più basso: 250 watt (oltre a una velocità massima di 25 km/h, oltre la quale il motore elettrico si deve disattivare del tutto, lasciando che la spinta venga dalle sole gambe del ciclista).
Dunque, oltre i 250 watt la bici elettrica veniva automaticamente considerata come un ciclomotore e quindi diventava guidabile solo con patente e da assicurare per la Rc auto. Ma ora il regolamento europeo 168/2013 prevede tali requisiti solo per la nuova categoria dei cicli a propulsione, che sono sì bici elettriche, ma hanno un motore che può legittimamente funzionare anche se il conducente non pedala e avere una potenza fino a 1.000 watt.
Né il Codice della strada né il regolamento europeo stabiliscono se nella fascia tra i 251 e i 1.000 watt occorrano patente e assicurazione. I corpi di polizia, che con il boom della mobilità elettrica low cost in città si stanno trovando sempre più spesso di fronte a questi mezzi, speravano in un chiarimento dalla Cassazione.
Ma il primo caso su cui la Corte ha deciso non è stato l’occasione giusta: la sentenza impugnata dal conducente (condannato anche alla revoca della patente perché guidava in stato di ebbrezza grave e aveva causato un incidente) ha genericamente affermato che il mezzo condotto dall’imputato era una «bicicletta a pedalata assistita».
Stando a questa definizione, che rispecchia quella contenuta nell’articolo 50 del Codice, si sarebbe forse anche potuto dedurre che la patente non fosse richiesta nel caso dell’imputato. Ma la Cassazione si è limitata a constatare che «la sentenza impugnata non conduce alcuna analisi su tipologia e caratteristiche del mezzo», per cui l’ha annullata nella parte relativa alla patente rinviandola al Tribunale perché decida alla luce di quale tipo di veicolo stesse effettivamente guidando l’imputato.
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