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Se l'Italia rischia l'effetto balcanizzazione

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credibilità e «mandrakite»

Se l'Italia rischia l'effetto balcanizzazione

  • –editoriale di Roberto Napoletano

Da fine giugno a fine settembre l'indice generale dei titoli italiani è caduto in Borsa del 25,3% contro il 16,1% dei titoli spagnoli. Nello stesso arco di tempo l'indice settoriale dei titoli bancari è calato per l'Italia del 31,7% contro il 19,2% della Spagna. Nel frattempo lo spread tra i titoli di Stato della Repubblica italiana e quelli tedeschi è passato dai 185 ai 377 punti attuali, ma soprattutto ha superato in curva gli spagnoli di una quarantina di punti sotto la spinta determinante di una grave perdita di credibilità della classe politica in generale e di quella di Governo in particolare.

Il declassamento di tre gradini dello Stato italiano, deciso ieri da Moody's, esprime una valutazione molto severa e conferma la delicatezza della situazione. Se abbiamo chiesto prima al ministro dell'Economia e poi al presidente del Consiglio di farsi un esame di coscienza (siamo in grado di prendere le decisioni che servono?) e di trarne le conseguenze, mettendo nel conto delle proprie decisioni il prezzo che il Paese sta pagando sull'altare del decoro violato delle sue istituzioni, il motivo è solo questo.

Non c'è nulla – proprio nulla – di politico in questa presa di posizione, ma piuttosto piena coscienza di un giudizio dei mercati che diventa giorno dopo giorno più preoccupante. Nessuno (in casa e fuori) può dubitare che le banche italiane siano più solide e produttive di quelle spagnole. Così come nessuno, in buona fede, può sostenere che i nostri fondamentali siano più deboli di quelli iberici: a parte il debito pubblico, non c'è parametro che non sia nettamente favorevole a noi in termini di rapporto deficit/Pil, debito delle famiglie e delle imprese.

Probabilmente non poteva accadere diversamente, ma sarebbe stato meglio che il virus della balcanizzazione della politica non contagiasse anche il mondo delle imprese, quasi in una specie di "mandrakite", perché quando la casa brucia la prima cosa da fare è spegnere l'incendio, non accendere altri focolai.

Questo giornale ha come azionista di maggioranza la Confindustria, un'associazione che rappresenta le imprese italiane ed esercita il suo ruolo di editore in modo moderno e liberale per la semplice ragione che cambia ogni quattro anni la guida e garantisce con i suoi comportamenti l'autonomia della direzione e della redazione. Per questo possiamo (e vogliamo) dire con chiarezza che anche Confindustria non è immune da pesantezze e lentezze ed è, di certo, auspicabile che acceleri ulteriormente (non è vero che non è stato fatto niente) sui terreni dello snellimento della sua struttura organizzativa (senza rinunciare ai valori fondanti dell'identità e della rappresentatività sul territorio) e di una flessibilità condivisa e innovativa declinata alla voce fatti (di parole ne abbiamo già sentite troppe).

Quello che, però, davvero ci preoccupa è l'esplodere incontrollato di tante, troppe soggettività, che rischia di trovare proprio nel mondo delle imprese il suo terreno più fertile. Diego Della Valle, l'uomo che ha legato il suo nome ad uno dei marchi più prestigiosi e globalizzati di questo Paese, si esprime pubblicamente con i modi e il linguaggio del cittadino comune, non si pone il problema della soluzione del caso Italia (di questo si tratta), sa che non tocca a lui, ma vuole legittimamente mettere a verbale che le cose non vanno e sottolineare che così non si può proseguire. Con la sua uscita si è guadagnato un posto nella memoria storica del Paese, ma rischia di non contribuire a tirarlo fuori dalle secche in cui è precipitato.

Di Sergio Marchionne voglio dire subito che apprezziamo la capacità di rompere schemi convenzionali, ha preso la prima azienda privata italiana (sulla quale nessuno scommetteva più un centesimo), è riuscito a tenerla in vita e a globalizzarla fortemente, e può ora dire con orgoglio che è pronto ad affrontare la sfida decisiva (ancora tutta da giocare) di un suo riposizionamento sul mercato mondiale dell'auto conservando in Italia una delle teste pensanti e una parte rilevante della sua forza produttiva. Il Sole 24 Ore, come ha scritto bene ieri Alberto Orioli, sarà sempre con Marchionne sulla frontiera della modernizzazione in entrata e in uscita del mercato del lavoro non perché lo chiede la Bce, ma perché sa bene che cosa "precarizza" un'intera generazione e che cosa va fatto per ridurre tale piaga non più tollerabile.

Proprio per questo, però, solo ragioni di "mandrakite" possono, ai nostri occhi, giustificare la scelta (in nome di questa bandiera) di uscire da quella stessa Confindustria che ha perseguito prima la strada dei nuovi contratti con gli accordi separati (senza i quali l'intesa di Pomigliano sarebbe stata impossibile) ed è, poi, riuscita a blindarli con la successiva firma della Cgil. Non ci resta che sperare in un chiarimento e nella prevalenza di uno spirito di responsabilità che il momento oggettivamente impone.

Lo stesso spirito che vede, per la prima volta, unite tutte le organizzazioni imprenditoriali (dall'industria al credito, dalle assicurazioni alla cooperazione, commercianti e artigiani) non in un cartello elettorale ma in un lavoro faticoso di servizio, da classe dirigente, che ha prodotto una proposta in cinque punti per la crescita ed è stata messa a disposizione del ceto politico del Paese perché dimostri (con i fatti) di saperne cogliere la cifra autentica. Occorrono subito decisioni trasparenti e cogenti frutto di un lineare - e obbligato - esercizio della responsabilità politica.

Se la minipatrimoniale (Il Sole 24 ore non l'ha prevista nel suo manifesto in nove punti per la crescita pubblicato sabato 16 luglio, lo stesso giorno del varo della prima manovra: quella che rinviava tutto) non convince, se ne faccia a meno, ma si abbiano il coraggio e la dignità di rendersi conto che senza provvedimenti per la crescita mai e poi mai si risolverà (anche) il problema numero uno del maxi-debito pubblico.

La responsabilità politica ha due vie: o fa (e dimostra di esserne capace) o si ritira, alza bandiera bianca. La responsabilità della classe dirigente (tutta) è una sola: avere la forza di sottrarsi al richiamo delle sirene nefaste della balcanizzazione. In gioco è l'Italia, la forza dirompente della crisi globale sta esaurendo anche i minuti di recupero che ci erano stati concessi. Non si venga, poi, a dire che non si era stati avvisati.
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