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Il senso di un sacrificio

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Italia

Il senso di un sacrificio

Grazie, Presidente. In un'Italia senza lavoro, alle prese con una questione industriale diventata sociale, divisa (pericolosamente) nelle piazze, sfilacciata in modo preoccupante nel suo tessuto civile, impaurita dalla doppia tenaglia di una crescente disuguaglianza e di opposti populismi che indeboliscono le fibre (sane) della democrazia, ci è voluto l'ultimo soccorso di un "giovanotto" di 87 anni che risponde al nome di Giorgio Napolitano per alleviare le tante ferite che attraversano il corpo (profondamente) sofferente del Paese. Bene, quello che ci preme sottolineare subito, è che mai e poi mai la sua rielezione «con una fiducia larghissima liberamente espressa» alla Presidenza della Repubblica italiana (fatto senza precedenti, misura di per sé la gravità della situazione) dovrà rivelarsi un cerotto sulle ferite aperte, un'aspirina per abbassare la febbre della malattia, o, tanto meno, un modo per guadagnare tempo e rinviare i problemi.

Siamo certi, al contrario, che il suo sacrificio di vita personale, la piena «assunzione di responsabilità» nei confronti della Nazione, il bagaglio (unico) di esperienza istituzionale, il credito personale di credibilità internazionale, sapranno garantire al Paese, in tempi strettissimi, un governo politico temporaneo, ma non provvisorio, con una compagine forte e autorevole all'altezza dei problemi che valorizzi le (sue) migliori risorse giovanili, attui interventi immediati e fortissimi a sostegno dell'economia reale e faccia (parallelamente) qualcosa di grosso (almeno) sul terreno della legge elettorale, della moralità pubblica e della trasparenza.

Il governo di cui il Paese ha bisogno indifferibile, nasce sotto il segno del suo ultimo soccorso, sarà comunque un suo governo e avrà, quindi, forti possibilità di dare le risposte giuste per la grande investitura parlamentare che è alle spalle della sua rielezione e per l'impegno determinato che deve esigere dai partiti. Serve coraggio, proprio quello che Mario Monti ha avuto nei primi mesi del suo governo, poi come è noto il Professore si è fermato, anzi ha commesso (molti) errori capitali con grande sicurezza.
Si deve ripartire da qui, dall'area del non ascolto del governo dei tecnici, si devono togliere dalle mani di burocrati ottusi i pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione alle imprese (lo chiedeva Draghi al ministro Tremonti nelle sue ultime quattro relazioni da governatore della Banca d'Italia) perché diventino finalmente effettivi, si devono correggere ad horas le gravissime storture introdotte dalla riforma Fornero sulla flessibilità in entrata, si partorisca un nuovo veicolo finanziario di diritto privato che coinvolga la Banca d'Italia e metta insieme chi ci sta per garantire quel flusso di finanziamenti a medio termine che consenta di salvare (almeno) il salvabile delle imprese manifatturiere sane (tante) che sono in difficoltà a causa non di una crisi industriale ma di una persistente politica di restrizione del credito.
Queste sono le risposte politiche, non i giochetti o gli inciuci di potere, che gli italiani attendono (e hanno diritto di avere) in casa e in Europa, dal nuovo governo, per spezzare il circolo perverso di paure contagiose che da troppo tempo ha determinato un clima di sfiducia generalizzato in Italia. Se non lo si spezza subito, dopo non si potrà fare più niente.

P.S. Chi parla di golpe sbaglia (gravemente) e scherza con il fuoco, ma altrettanto sbaglierebbe chi fosse chiamato a governare e non si ponesse il problema di dare risposte al malessere che si esprime nella piazza degli elettori dei grillini. Stefano Rodotà ha avuto ieri in Parlamento molti meno voti del giorno prima e ciò certifica che il Pd ha voluto colpire Romano Prodi, il fondatore dell'Ulivo che ha vinto due volte Berlusconi, uomo di governo e delle istituzioni stimato nel mondo e capace di parlare alla «pancia» del suo Paese. Si rifletta su che cosa possa significare quel tradimento di massa nel voto per la sinistra e, alla lunga, per tutto il Paese.