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Questo articolo è stato pubblicato il 26 maggio 2013 alle ore 17:52.

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Il brusco calo delle affluenze al voto amministrativo non è una sorpresa per nessuno. Ci saremmo meravigliati del contrario. Ben pochi si sono appassionati a queste elezioni, che arrivano dopo la grande battaglia di primavera (rinnovo del Parlamento, elezione del capo dello Stato, nascita del governo di grande coalizione). Quei 13 punti che nel tardo pomeriggio mancavano nelle percentuali di Roma la dicono lunga. Perché la Capitale è stata il simbolo disincantato e scettico di questa domenica un po' estenuata. A Roma c'è la più alta concentrazione di votanti. Proprio qui si può dunque cogliere il significato più politico di questa tornata amministrativa, ammesso che ce ne sia uno. Ed è su Roma che occorre fissare l'attenzione. Con alcuni punti fermi.

Campagna mediocre, seggi vuoti
Primo: quanto il calo dell'affluenza è determinato da stanchezza generale e quanto dalla povertà del dibattito pre-elettorale? Dal momento che il "flop" dell'affluenza si è verificato in misura più o meno omogenea di tutta Italia, non bisogna sottovalutare questo elemento: un'opinione pubblica abbastanza satura e non motivata a sufficienza per tornare alle urne. Ma nella Capitale (secondo punto) la mediocrità della campagna ha avuto la sua parte. I candidati non hanno sedotto l'elettorato, i partiti naturalmente non sono esistiti, la diffidenza dei romani ha fatto il resto.

Alemanno di nuovo in corsa
Può darsi che al ballottaggio, fra quindici giorni, sarà diverso: dato per acquisito che nessuno dei quattro maggiori pretendenti (Alemanno, Marino, Marchini, De Vito) conquisterà la maggioranza assoluta, può darsi che sarà possibile riannodare il filo con la città attraverso il duello dei due meglio piazzati. Per ora sappiamo che il sindaco uscente, Alemanno, sembrava fuori gara fino a un paio di mesi fa ed è riuscito invece a riproporsi con qualche credibilità.

Marino candidato debole che ha dato una nuova chance ad Alemanno
Sappiamo anche che il favorito della vigilia, Ignazio Marino, resta tale sulla carta, ma all'interno della solita parabola del centrosinistra, tipica ormai di ogni campagna elettorale: partenza a razzo, sensazione di una vittoria già in tasca, e poi una corsa affannosa che deve superare ostacoli sempre più alti. Per cui - ecco un altro punto rilevante - se Alemanno è rientrato in gara, lo si deve anche alla debolezza del suo maggior competitore. E se questi, pur favorito, è in difficoltà, lo si deve alla sua scarsa sintonia con la città: al fatto di non essere riuscito a creare il necessario entusiasmo, quel senso di "inevitabilità" che accompagna di solito la gara dei vincitori predestinati.

Marchini, outsider che poteva fare di più
Quanto a Marchini, egli resta l'"outsider" più accattivante. Ma pur sempre un "outsider". È in grado di raccogliere i voti dei delusi di una parte e dell'altra, ma soprattutto del centrosinistra. È simpatico, "Arfio", è romano e si è sforzato di incarnare la parte di una sorta di "grillino" beneducato. Nemico del sistema, quanto basta. Dalla parte dei cittadini, quanto serve. Difficile prevedere se tutto ciò sarà sufficiente per andare al ballottaggio: forse anche lui avrebbe potuto fare di più, avanzare idee più dinamiche, provare a far sognare i bistrattati e disillusi della cosiddetta "Città eterna".

Grillini senza verve, ridotto il "traino" del leader
La verità è che nessuno crede più a nessuno. Roma sembra ingovernabile e nessuno è riuscito a convincere di avere in tasca la ricetta giusta. Probabilmente perché tale ricetta non esiste. È una metropoli piegata dalla crisi e da un'atavica cattiva amministrazione (con poche eccezioni negli ultimi 25 anni). Ma è anche la città dove la presa del clientelismo e in fondo della partitocrazia è ancora forte, molto più solida che altrove. Come un passo indietro nel tempo. Questo spiega (altro punto da considerare) perché lo stesso candidato di Beppe Grillo, De Vito, non sembra affatto avere il vento in poppa. Lui è convinto di andare al ballottaggio e può darsi che i romani vogliano riservaci una sorpresa. Lo vedremo domani sera. Ma l'impressione è che a Roma il "grillismo" affondi anch'esso nella palude. Tanto più che la capacità di traino del leader è minore e la protesta si è già espressa nelle elezioni del 24-25 febbraio.

Effetti a livello nazionali? Scarsi, a meno che prevalga De Vito
Ultimo punto. Quali saranno le conseguenze politiche di questo voto? Probabilmente scarse. In giro per l'Italia non sarà facile individuare una linea di tendenza netta e coerente. E per quanto riguarda Roma, nessun esito sarà tale da modificare le scelte che sono state compiute in relazione al governo delle larghe intese appena insediato. Se vincerà Alemanno, avremo la conferma che il centrodestra è in buona salute, al punto da rimettere in sella un sindaco a lungo fortemente contestato. Se vincerà Marino, il Pd tirerà un sospiro di sollievo, ma non più di un sospiro. Se dovesse prevalere Marchini, tutti grideranno al colpo di scena, ma sarà soprattutto la conferma della crisi di identità del centrosinistra tradizionale. Forse solo un'affermazione del grillino De Vito avrebbe l'effetto di mettere in moto dinamiche imprevedibili. Ma siamo, appunto, nel campo dell'insondabile e dell'inverosimile. Guardiamo nel frattempo ai nuovi dati dell'affluenza per capire quanto è profondo il disincanto.

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