Abbiamo aperto il giornale di ieri segnalando che, il giorno dopo la sentenza di condanna definitiva di Silvio Berlusconi per frode fiscale, il differenziale BTp-Bund è sceso a 260 punti collocando lo spread ai minimi da due mesi. Non vorremmo che ci fossero equivoci: questa valutazione dei mercati è fondata sul presupposto che non ci sia una crisi di governo immediata e, tanto meno, un ritorno alle urne. La malattia italiana è politica, viene da lontano e riflette una crisi di valori diffusa che ha scalfito più volte il credito e il decoro delle nostre istituzioni. Una lunga stagione che ha inciso sul tessuto civile alterando parametri di riferimento consueti e fondanti per una democrazia moderna: tutto diventa pericolosamente discutibile (anche le sentenze definitive) all'interno di un quadro di conflitti tra poteri e interessi mai affrontati e risolti con il rischio di aprire tra noi e gli altri un fossato spaventoso.
I venti di guerra che si alzano minacciosi dal Popolo della libertà e non risparmiano neppure il Quirinale, le convulsioni quotidiane che attraversano pesantemente il Partito democratico, financo la polemica da scissione dell'atomo dentro Scelta Civica tra l'ex premier Monti e un poco conosciuto Olivero, indicano con chiarezza che, sul terreno dell'anomalia berlusconiana, è cresciuta una malattia trasversale che mina alla radice il bene prezioso della stabilità e immiserisce la responsabilità della funzione di governo mettendola in discussione ogni momento e paralizzandola sotto il peso di beghe di partito, fantomatici calcoli di capitalizzazione dello scontento nell'urna, personalismi e molto altro. Non possiamo permettercelo, sulle macerie non si costruisce nulla, abbiamo bisogno di tutt'altro. Abbiamo bisogno di un governo che abbia il coraggio di intervenire in profondità nella macchina dello Stato rimuovendo un campionario ossessivo di veti per imprese e cittadini assumendo giovani e spostando persone da un ministero all'altro, di tagliare gli sprechi statali e mettere sotto controllo i bilanci delle Regioni, di semplificare e informatizzare la pubblica amministrazione sul territorio, di riformare davvero il mercato del lavoro e di impiegare tutte le risorse che si riescono a liberare in un processo di riduzione significativa del cuneo fiscale che grava su lavoratori e datori di lavoro. Abbiamo bisogno di un governo per cambiare in Parlamento la legge elettorale e affrontare con serietà e profondità il tema della giustizia, partendo da quella civile che resta troppo lenta e macchinosa. Si deve assolutamente evitare che la crisi di alcune banche alimenti correnti di rischi sistemici e parallelamente - cosa ancora più importante - assicurare che il flusso del credito torni copioso (non lo è) per le imprese italiane industrialmente sane e globalizzate. Per tutte queste ragioni occorre che la politica non vada in vacanza, al contrario non dorma la notte, stringa i tempi e eserciti la responsabilità di decidere per rendere più facile la vita a chi vuole continuare a investire in Italia. Su questo tutti, proprio tutti, verranno giudicati non su altro.
L'economia americana si sta riprendendo, l'Asia rallenta ma resta a livelli sostenuti, in Europa c'è un problema nel Nord con le difficoltà olandesi sul tema dei debiti privati e un problema di resistenza francese ad agire efficacemente sul suo debito pubblico, molto dipenderà dalla capacità della Germania di tenere alta la domanda interna sostenendo i salari e, in questo, l'appuntamento elettorale aiuta. Non dimentichiamoci mai, però, che sotto osservazione restano i Paesi del Sud Europa e guai a chi si volesse assumere la responsabilità di affiancare ai primissimi, cauti segnali di non peggioramento di Grecia, Spagna, Portogallo, una nuova, improvvisa crisi di credibilità italiana e di stallo nella sua azione di governo. Potremmo determinare un autunno delicato per l'intera Europa e, cosa ancora più grave, bruceremmo quel minimo di capitale di reputazione riconquistato e quel minimo di ripresina che si profila. Avendo la consapevolezza che, per salvarsi davvero, il Paese ha bisogno del massimo di reputazione e, soprattutto, del massimo di governo sporcandosi le mani per affrontare in profondità una crisi economica e sociale terribile e dare finalmente un quadro di certezze a chi si misura con essa ogni giorno a viso aperto. L'Italia dovrà dimostrare al mondo di avere curato la malattia della politica prima che contagi, ancora di più di quello che sia già accaduto, l'intera classe dirigente e il tessuto civile della nazione. Questo è il momento che viviamo e chi prospetta o accredita scorciatoie, di piazza e non, si assume la responsabilità di scherzare con il fuoco.
© RIPRODUZIONE RISERVATA