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Alan Greenspan fa del suo meglio perché le cose vadano peggio

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Global view

Alan Greenspan fa del suo meglio perché le cose vadano peggio

Steven Pearlstein, un editorialista del Washington Post, ha letto il nuovo libro di Alan Greenspan e ha scoperto che l'ex presidente della Federal Reserve è convinto di non avere nessuna responsabilità per tutte le cose brutte che sono successe sotto la sua presidenza, e che la soluzione a una crisi finanziaria è – chi l'avrebbe mai detto? – meno Stato.

Quello che Pearlstein non ha menzionato in un recente editoriale, ma che io considero importante, è la straordinaria capacità di Greenspan, da quando ha lasciato il suo incarico, di sbagliare su qualsiasi cosa senza mai imparare dai suoi errori.

In particolare, sono passati più di tre anni ormai da quando ha lanciato l'allarme sull'imminente scenario greco che attendeva gli Stati Uniti e ha definito «deplorevole» il fatto che inflazione e impennata dei tassi di interesse ancora non si fossero manifestati.
Il fatto è che Greenspan non è pessimo solo come economista, ma anche come persona: si rifiuta di prendersi la responsabilità dei suoi errori, quand'era in carica e anche ora che non lo è più. Ed è ancora lì a fare del suo meglio per fare del mondo un posto peggiore.

Ma lei lo sa chi sono io?

Una delle cose strane dei dibattiti che stiamo facendo sulla politica economica da quando è cominciata la crisi finanziaria è il numero di persone in uno degli schieramenti in campo (quello opposto al mio, guarda caso) che sono convinte di poter vincere una discussione facendo pesare la propria autorità.

Chi li critica viene liquidato come un semplice blogger, qualifica che non si sa perché dovrebbe rendere una persona inattendibile quando fa notare errori e dichiarazioni non vere; le idee vengono liquidate (a torto, guarda caso) come estranee a quello che si insegna nelle università, come se questo escludesse qualsiasi possibilità che possano essere corrette.

Faccio anch'io lo stesso? Sicuramente, passando al setaccio tutti i miei scritti, qualche esempio del genere lo si potrebbe trovare. Ma mi sforzo di non farlo: mi sforzo di basare le argomentazioni sul merito, e se liquido il contributo di qualcuno mi sforzo di farlo sulla base di quello che scrive, non sulla base di chi è.

Quello che tantissime persone – in particolare gli accademici, mi dispiace dirlo – non sembrano capire sono i limiti, teorici e pratici, di quello che si può ottenere sbandierando le proprie credenziali.

In sostanza, avere una cattedra prestigiosa e magari qualche premio ti dà diritto a essere ascoltato, ma niente di più. I commentatori si sprecano, là fuori, tanto che nessuno è in grado di leggere tutto quello che dice chiunque. Ma se un famoso intellettuale fa una dichiarazione, ottiene ascolto molto più facilmente di qualcuno senza una reputazione pregressa.

Ma le credenziali accademiche non sono una condizione necessaria né sufficiente per ottenere che le proprie idee siano prese sul serio. Se un famoso professore dice ripetutamente delle stupidaggini, e poi cerca di sostenere di non averle mai dette, nessuna regola impedisce di definirlo un idiota mendace: e per sostenere questo, l'unica qualifica che serve è aver fatto i compiti a casa.

Inversamente, se qualcuno privo di credenziali formali fa regolarmente osservazioni incisive e brillanti, si guadagna il diritto a essere preso sul serio, indipendentemente dal suo background.
Una delle grandi cose d

internet è il fatto di aver reso possibile per una serie di persone soddisfare la seconda condizione e guadagnarsi un pubblico. Non mi importa se sono dottorandi, professori, o semplicemente gente che gestisce un blog: è quello che fai che conta.
Comunque sapevamo da tempo che molti grandi intellettuali in realtà sono dei cretini. Qualcuno forse lo è sempre stato, altri ne sanno tantissimo di un'area molto ristretta, ma sono ignoranti su tutto il resto. E qualcuno, per qualche ragione, ha perso il senno: qui su due piedi potrei citarvi parecchi economisti di cui si dice normalmente «Non riesco a credere che quell'uomo abbia scritto quei saggi».

E aggiungo che credere di poter far pesare il proprio nome in quest'epoca moderna così aperta è già di per sé dimostrazione di incompetenza. Ma a chi credi che importi? Di sicuro non ai lettori.

Eh sì, oggi è un mondo crudele per gente che fa il suo lavoro in modo sciatto e conta sulle sue credenziali per mettersi al riparo dalle critiche. Ma chissà perché non riesco a provare alcuna solidarietà.

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