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19 marzo 2014

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Impresa & Territori IndustriaL'elettronica e l'Ict in affanno: senza big si aggrappano alla Pa

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L'elettronica e l'Ict in affanno: senza big si aggrappano alla Pa

«È inutile girarci attorno: per realtà come la nostra la pubblica amministrazione ha un peso determinante. In Emilia-Romagna, per esempio, la Regione è il principale committente. Se si fermano o rallentano le commesse rischiano di essere dolori». Le parole di Paolo Angelini, presidente di Rete ICT (associazione di 22 imprese dell'Ict, promossa da Unindustria Bologna, con 120 milioni di fatturato aggregato) rappresentano un chiaro esempio di come il pubblico sia ancora (o forse questa volta più di altre) una leva fondamentale per far ripartire l'industria dell'elettronica e dell'Ict italiana.

Un'industria da oltre 460mila addetti che si trova a combattere con produttori, di hardware come di software, che "battono bandiere" di ogni parte del mondo e che, orfana del big Olivetti, più che a un campione nazionale si affida a tante, più o meno grandi, eccellenze. Ma anche un'industria che sa battere dei colpi, soprattutto nelle produzioni a più alto valore aggiunto. Non è un caso che Datalogic per i suoi lettori di codici a barre abbia recentemente conquistato una commessa in quel tempio dell'elettronica che è il Giappone.

In generale però i dati non invitano a sorridere. L'ultimo Rapporto Assinform, con elaborazioni Netconsulting, ha previsto che a fine anno si raccoglieranno i cocci di un 2013 pesante, in cui il giro d'affari del settore dovrebbe aver lasciato sul terreno un 4,3 per cento. Peggio quindi del -1,8% del 2012 e anche del -2,1% registrato l'anno prima. «La nostra visione è che il 2014 non sarà l'anno del cambio di segno». Insomma, una situazione critica «che non va sottovalutata. Occorre intervenire subito», dice Elio Catania, presidente di Assinform. Il suo alert parte da due punti chiave. Il primo è che «all'estero il mercato dell'Ict sta crescendo». Il secondo parte dalla considerazione che «il nostro è un settore che ha una valenza straordinaria per il Paese. Se entra in crisi entra, in crisi la conoscenza, la capacità di innovare. È per questo che abbiamo lanciato un appello al Governo per far sì che ponga la Pa come motore di trascinamento».

Si parte in tal senso da una posizione non certo di privilegio. Un recente rapporto Assinform ha calcolato che la spesa Ict della Pa centrale e locale tra 2007 e 2013 ha mostrato un calo medio annuo del 2,8 per cento. È chiaro: le finanze pubbliche non permettono voli pindarici. «Oggi molti dei progetti si potrebbero realizzare con partnership pubblico-privata. Insomma, ci deve essere innovazione anche quando di affrontano queste tematiche», precisa il presidente di Confindustria Digitale, Stefano Parisi. Tuttavia il dato di partenza pesa come un macigno: «C'è un andamento economico negativo del settore. Siamo sempre in attesa – sostiene Cristiano Redaelli, presidente di Anitec, altra associazione di aziende dell'Ict in Italia – che partano degli sviluppi importanti soprattutto sul tema degli investimenti infrastrutturali. In questo senso l'azione del commissario all'Agenda digitale Francesco Caio è di grandissima importanza».

Si torna insomma lì, alla spinta di matrice keynesiana attesa dalla pubblica amministrazione. Che da parte sua porterebbe con sè inevitabilmente la creazione di una domanda basata sulla maggiore diffusione di reti e servizi a banda larga. A ogni modo, se potenzialità di sviluppo ci sono è altrettanto vero che la realtà dei fatti è quella di una forte sofferenza accompagnata da una dicotomia fra segmenti. A trascinare in basso gli oltre 65 miliardi di Global digital market previsti per fine 2013 sono stati Tlc e It, a fronte di un miglioramento dei segmenti innovativi pari al 5,2 per cento. Alla discesa marcata dei servizi di rete delle Tlc (-9,2%), dovuta principalmente al costante calo delle tariffe, si affianca così una flessione della componente dispositivi, software e servizi più ridotta (-1,5%). In crescita del 4,9% sono invece i mercati dei contenuti e pubblicità online. Cresce inoltre la domanda di tutti quei dispositivi digitali nuovi. E sono proprio queste componenti nuove – su tutte gli smartphone (ce ne sono 37 milioni in giro in Italia secondo l'Osservatorio Mobile economy del Politecnico di Milano) e i tablet (7,5 milioni) – a spingere verso il ruolo di sviluppatori di app. Secondo i dati del Politecnico di Milano, i ricavi di queste "aziende" a fine dicembre 2013 risultano quasi raddoppiati, a 300 milioni di euro.

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