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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2014 alle ore 07:54.
L'ultima modifica è del 20 luglio 2014 alle ore 17:27.

Un decennio di boom economico
Naturalmente Erdogan può vantare successi economici innegabili e questa scalda i cuori di chi ha visto passare il pil pro capite da 2.550 dollari a 11mila dollari in un decennio.
Erdogan ha fatto presa sulla borghesia anatolica conservatrice nei costumi e liberale in economia, lo zoccolo duro del Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) del premier, che si è arricchito col boom dell'economia turca nel primo decennio del nuovo secolo.
Da quando Erdogan lo ha fondato nel 2001, l'Akp non ha mai perso un'elezione. Imponendo al movimento islamista una svolta moderata e liberale (siamo "la democrazia cristiana islamica" ha dichiarato il premier nel 2012), Erdogan ha vinto per la prima volta le politiche nel 2002. L'ascesa dell'Akp porta all'esclusione dal parlamento dei tre partiti più importanti dell'epoca che, travolti da una crisi economica profonda provocata dal collasso del sistema bancario nel 2001, non riuscirono a superare la pazzesca soglia (del dieci per cento) di sbarramento. Erdogan vince di nuovo, poi, nel 2007, quando in una prova di forza con la Corte costituzionale che aveva dichiarato irregolare l'elezione da parte del parlamento di Abdullah Gul, primo presidente della Repubblica musulmano praticante, aveva convocato elezioni anticipate, che gli fruttano un 12% in più. E vince di nuovo nel 2011, quando arriva a toccare il 50% dei consensi.

Società polarizzata
Nell'era Erdogan l'economia turca è cresciuta a ritmi cinesi, nel 2005 è partito il negoziato per l'adesione all'Ue, che oggi langue, inoltre Ankara è divenuta un'importante potenza di riferimento per molti Paesi della regione. Questi sono solo alcuni dei successi che il premier non perde occasione di ricordare nel corso delle decine di eventi pubblici a cui partecipa ogni settimana. Tralascia invece il motto diplomatico "zero problemi con i vicini", visto che si è dimostrato un clamoroso insuccesso al punto che oggi si parla di "zero vicini senza problemi". E il voto per le amministrative di marzo, quando l'Akp è risultato ancora una volta il primo partito con il 46% dei voti, ha confermato che la maggior parte dei turchi nutre ancora moltissima fiducia in lui sebbene il leader abbia profondamente polarizzato la società turca e sia detestato dalla parte filo-occidentale del paese.

Alla prova delle urne, le proteste di massa contro quella che l'opposizione considera una svolta autoritaria e personalistica di Erdogan che hanno attraversato tutto il Paese la scorsa estate e lo scandalo corruzione che ha travolto il governo lo scorso dicembre con le dimissioni di quattro ministri non hanno colpito la popolarità del premier, che ha sconfitto anche l'ex amico Fetullah Gulen.

Erdogan è sempre riuscito a sfruttare le crisi a suo vantaggio, convincendo l'elettorato di rappresentare l'unica speranza perché il processo di democratizzazione non si blocchi.
«La presidenza in Turchia è sempre stata considerata un'istituzione che difende gli interessi dello stato contro il governo democraticamente eletto - ha dichiarato oggi durante l'evento ad Ankara per ufficializzare la sua candidatura - il 10 agosto, con l'elezione diretta del presidente, si chiuderà un'era oscura, quella della tutela (dei militari) sulla politica" ha aggiunto Erdogan. Speriamo che non se ne apra un'altra altrettanto opaca, intrisa di presidenzialismo all'ottomana.

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