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17 luglio 2014

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Consumi ai minimi da 10 anni

Un Paese sempre più povero. Disorientato. Quasi all'asfissia, sotto i raggi dalla recessione. Ma, anche, pronto a sperimentare nuovi modelli di comportamento nei consumi: con meno ossificazione e più "promiscuità" nelle scelte dei prodotti da parte degli italiani.
I dati sui consumi delle famiglie diramati ieri dall'Istat, a consolidamento di un 2013 durissimo, sono esattamente quelli che tutti si aspettavano: un calo secco, rispetto al 2012, del 2,5%, con una spesa media mensile per famiglia pari – a valori correnti – a 2.359 euro.

È il livello di spesa più basso degli ultimi dieci anni: nel 2004 la spesa media era di 2.381 euro. «Naturalmente – chiosa Carlo Milani, economista del Centro Europa Ricerche – dietro questa cifra simbolo, c'è di tutto: il Paese è segnato da una disomogeneità strutturale. Di certo, però, si tratta di una flessione vera, che incide come un'unghia sul corpo sociale ed economico». Una unghiata che, quest'anno, non dovrebbe trasformarsi in una carezza ma che, perlomeno, potrebbe limitare la sua forza abrasiva.

«Nel 2014 – prosegue Milani – il reddito disponibile, con l'effetto del bonus da 80 euro del Governo, aumenterà dell'1 per cento. Anche per questo, la nostra previsione è che i consumi salgano di mezzo punto». Questa tendenza si dovrebbe ripetere nel 2015 (+0,6%) e, poi, fra il 2016 e il 2018 (in media +0,7%). «Si tratta di una ipotesi di rottura del ciclo negativo – aggiunge l'economista del Cer – ma sempre con un andamento pari a un terzo del ritmo ante crisi». Il profilo dei consumi, nella decrittazione di quanto succede nella fisiologia dell'economia e della società italiana, è assolutamente centrale. I consumi sono importanti per come appaiono. Ma, anche, per quello che ci dicono. Primo messaggio: il grado di radicale impoverimento "qualitativo" della vita quotidiana degli italiani. Per il dato secco dell'Istat, la spesa media mensile in alimentari è pari per ogni famiglia a 461 euro, contro i 468 euro del 2012 e i 477 euro del 2011. «Il problema è la riconfigurazione interna, di caratura peggiorativa – sottolinea la sociologa Monica Fabris, presidente dell'istituto di ricerca Episteme – della scelta degli alimentari. Che tengono sotto il profilo quantitativo. Ma degradano sotto quello qualitativo. Dagli anni Novanta l'80% degli italiani ha sempre cercato la migliore qualità del cibo, a prescindere del prezzo. Si tratta quasi di un elemento identitario del nostro essere italiani. Ora lo fa soltanto il 57% dei nostri connazionali». Una tendenza coerente con quella evidenziata dalla Coldiretti, secondo cui l'81% degli italiani non butta il cibo scaduto (a inizio anno era "solo" il 63%).
Il contesto strutturale è di rallentamento delle attività economiche del Paese: nella relazione annuale del Gestore dei mercati energetici di ieri si evidenziava un calo del prezzo medio dell'energia, nel 2013, del 16,6%, «anche se nella componente della domanda – nota il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli – è preponderante il calo dell'attività industriale».

Al di là dell'influenza di questo o di quel fattore, se l'Italia delle fabbriche non sta bene, l'Italia delle famiglie vacilla. «Ed è un vacillare con una doppia componente – continua Fabris – : c'è la forza contundente della crisi, ma c'è anche qualcosa di più profondo». Secondo messaggio portato dalla drastica riconfigurazione dei consumi: qualcosa sta cambiando l'anima degli italiani. Come cittadini e, insieme, come consumatori. «Per la prima volta – dice la sociologa – assistiamo all'influenza diretta dei messaggi politici sui comportamenti degli individui». L'ossessione della spending review, per esempio, come nuovo mantra europeo. Nell'analisi di Episteme, il 60% degli intervistati dichiara di sentirsi in dovere di tagliare i consumi. «Si taglia, o si dice di voler tagliare su tutto, dalle spese statali alla Rai, alla pubblica amministrazione – riflette Fabris – dunque il messaggio politico filtra nella psicologia collettiva degli italiani, assume una strana caratura morale e diventa comportamento». Il paradosso del buon cittadino che diventa buon (non) consumatore.

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