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Questo articolo è stato pubblicato il 16 luglio 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 16 luglio 2014 alle ore 11:30.

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L'Europa sta vivendo la crisi del settimo anno. È ormai dal 2008 che le cose non vanno più bene. Quest'anno, quando le cose sembravano andare per il verso giusto, stanno arrivando preoccupanti segnali di stagnazione. A maggio la produzione è tornata a calare (-1,1%) mentre la fiducia degli investitori in Germania (considerata la locomotiva dell'area, dato da filtrare però per un surplus delle partite correnti superiore al 7% e al 6% consentito dai paletti europei) a luglio è scesa a 27,1 punti, sotto le attese.

In questi sette anni il numero dei disoccupati nell'Europa ha superato quota 25 milioni. Sono oltre 18 milioni nell'Eurozona e oltre 3 milioni in Italia. Se poi si considera l'area Ocse (34 Paesi) il numero di disoccupati è salito a luglio a 44,7 milioni, 10,1 milioni di persone in più rispetto a luglio 2008. Insomma, numeri da capogiro. Numeri più forti dei buoni propositi costituzionali (l'articolo 1 della Costituzione italiana recita «l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro») e dei trattati europei (creare un forte mercato interno in modo tale da permettere ai Paesi di assorbire meglio crisi esogene).

Il quadro si appesantisce se si disaggrega il dato medio (11,7% nell'Eurozona, 12,6% in Italia) per la componente giovanile che ha raggiunto picchi ormai non più secondi al dopoguerra in Grecia (57,7%), Spagna (54%) e nella stessa Italia (43%). Un disoccupato giovane, in prospettiva, è un problema sia individuale (per il disoccupato) che per il Paese. Perché dopo essersi formato e aver acquisito un know how ad alto valore aggiunto può essere costretto (dato che non trova lavoro) ad accettare nel tempo impieghi lontano dalle sue competenze e quindi non potrà "regalare" alla società il suo valore aggiunto.

Il problema dei problemi è che la disoccupazione sta diventando da temporanea a strutturale. Se la disoccupazione giovanile impoverisce il capitale umano quella strutturale rischia di trasformarsi in zappa sui piedi di quella ripresa che non c'è. Questa poliennale crisi europea ha aumentato esponenzialmente il numero dei disoccupati di lunga durata, quelli che lo sono da almeno 12 mesi che in alcuni casi (fra cui l'Italia) è superiore a quelli di breve durata (inferiore a 12 mesi).

Senza contare le polemiche sul meccanismo del calcolo del tasso di disoccupazione che esclude difatti la categoria dei Neet (Not engaged in education, employment or training): coloro di età compresa tra i 15 e i 29 anni che non sono né occupati e né sono inseriti in un percorso di formazione e istruzione. In Italia se ne contano 2,4 milioni (+7% dal 2007). Che siano tra i Neet o meno il tasso di disoccupazione non conta gli scoraggiati in senso lato, coloro che sono senza lavoro e che non lo hanno attivamente cercato nelle ultime quattro settimane.

Motivo per cui negli Stati Uniti il tasso di disoccupazione è sì sceso al 6% (grazie anche a politiche di quantitative easing e di deficit/spending durante la crisi da parte del governo) ma allo stesso tempo questo dato non tiene conto dei 90 milioni di cittadini che hanno smesso di cercare lavoro (erano 80 nel 2008) e che sono quindi tecnicamente usciti dalla forza dal lavoro e dal meccanismo di calcolo del tasso.

Per le stesse dinamiche il calcolo del numero dei disoccupati in Italia più che raddoppia da quota 3,2 milioni (da cui si ricava il 12,6% generale del tasso di disoccupazione) a 7,7 milioni. Il calcolo è dell'ufficio studi di Confindustria. «Per avere un quadro completo della debolezza del mercato del lavoro, altri due gruppi vanno inclusi tra i senza lavoro, totali o parziali: gli occupati part-time involontari (2 milioni e 574mila nel primo trimestre 2014, +101,9% rispetto a sei anni prima) e i non-occupati che sarebbero disponibili a lavorare ma non hanno compiuto azioni di ricerca attiva perché scoraggiati (1 milione e 590mila individui, +59,0%) oppure perché stanno aspettando l'esito di passate azioni di ricerca (605mila, +87,3%). In totale, sono 7,7 milioni le persone a cui, in un modo o nell'altro, manca lavoro».

Insomma, quando si parla di lavoro il discorso si fa complesso. Ma la disoccupazione non incide solo sull'andamento economico (ogni disoccupato corrisponde a una fetta di Pil potenziale sprecato) e allo spreco di risorse produttivo. La disoccupazione, come sottolineato da Papa Francesco fa perdere dignità: «Il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l'uomo e la sua dignità: se manca il lavoro, questa dignità viene ferita».

E, a quanto pare, chi non lavora rischia di veder compromesse anche le qualità psico-fisiche. «Nella mente di chi non ha un lavoro si attivano i sistemi biologici dello stress utili quando la sopravvivenza è minacciata ma dannosi se lo stress diventa cronico. In breve il collegamento tra le variabili psicosociali e la salute è proprio lo stress che se cronico ha un effetto intenso e profondo sulla mente e sul corpo perchè infuenza non solo le capacità cognitive ma anche il sistema immunitario e quello neuroendocrino - spiega Mirko La Bella, psicologo e psicoterapeuta, professore presso la Fondazione Università popolare di Torino nonché responsabile regionale del Piemonte della Società italiana di PsicoNeuroEndocrinoImmunologia (Sipnei, la Pnei è la disciplina che si occupa delle relazioni fra il funzionamento del sistema nervoso, del sistema immunitario e del sistema endocrino) -. Lo stress attiva una risposta che genera forti emozioni negative le quali, a loro volta, producono sostanze biochimiche per rispondere al pericolo. Se gli eventi stressanti durano troppo a lungo nel tempo, le sostanze generate dalla biochimica emotiva manomettono gravemente la biologia del nostro corpo e aprendo la porta a condizioni di malattia anche gravi».

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