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L'inchiesta / Manifattura al bivio

23 luglio 2014

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Impresa & Territori IndustriaPercorso a ostacoli per gli aiuti all'export

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Percorso a ostacoli per gli aiuti all'export

(Reuters)(Reuters)

Sarà di 130 milioni di euro l'anno per tre anni - secondo fonti ministeriali - il "budget" del governo per far funzionare il piano straordinario sul made in Italy annunciato dal ministro per lo Sviluppo economico, Federica Guidi, in Consiglio dei ministri i primi giorni di settembre. Intanto, troppe Pmi non esportano e tra voucher e fondi a pioggia le Regioni vanno in ordine sparso.

Ora si guarda con attenzione al mix di fondi dei dicasteri rimasti giacenti che dovrebbero coprire, tra le altre cose, il sostegno alle fiere, la promozione del made in Italy e le consulenza degli export manager cui le Pmi potranno attingere.
Un piano rilanciato anche dal premier Renzi nei giorni scorsi e che crea forti aspettative nelle imprese. Ma che non elimina del tutto le perplessità degli imprenditori che da mesi si muovono tra convegni, roadshow, seminari, ma anche contributi per i consorzi, le associazioni di categoria e le camere di commercio all'estero, finanziamenti agevolati (delle spese per l'apertura di strutture all'estero e dei crediti all'esportazione), fondi start-up e una pletora di voucher e iniziative promozionali polverizzate e direttamente gestite dalle Regioni e dalle Camere di commercio attraverso i loro "desk estero". Con il risultato che la promozione del vino o della meccanica all'estero più che per settore viene percepita come "made in" Veneto, Lombardia o Molise.
«C'è un grande agitarsi in positivo, un grande impegno per informare le aziende – ammette Alfredo Mariotti, segretario generale di Federmacchine –. Ma accompagnare le imprese all'estero è un'altra cosa. Ma le pare che due imprenditori meccanici alla fiera di Hannover si incontrino e uno abbia il voucher regionale che gli copre tutte le spese e l'altro no, solo perchè uno è di Piacenza e l'altro di Pavia?». Per Mariotti è essenziale tornare a un coordinamento unico delle strategie. «La promozione dell'export deve farla l'Ice e basta. Stop alle "trasferte regionali". Vanno finanziate per settori analisi sulla domanda dei nostri clienti in mercati specifici: cosa stanno progettando i nostri clienti in Usa, Germania, con quali materiali e quali strumenti. Cominciamo a premiare le imprese che esportano con un taglio dell'Irap sul costo del lavoro pari alla quota di export che fanno. Queste sono cose che incidono sulla "carne viva" delle imprese». «Pensare di presentarsi con 20 diversi interlocutori all'estero è una strategia deleteria per l'immagine del Paese – spiega Licia Mattioli, presidente del Comitato Investitori esteri di Confindustria –. Serve una regia nazionale e di questa mancanza molti imprenditori si lamentano. Ma, ad esempio, il piano che sta portando nel Texas e nel Midwest marchi italiani in store in cui al massimo sinora arrivavano prodotti di italian sounding è già un'iniziativa che è partita e sta avendo riscontri positivi. Vedo un cambio di passo rispetto al passato. Il governo dialoga con le imprese e insieme si decide di fare quello che serve. È la direzione giusta».
«Abbiamo già riordinato i finanziamenti – ha spiegato il viceministro allo Sviluppo Economico, Carlo Calenda –. riducendo sensibilmente anche i contributi ad enti e associazioni e assegnando quelli alle camere di commercio all'estero sulla base di rigidi parametri di efficienza. Resta la questione delle troppe iniziative regionali. Ma nella riforma del Titolo V della Costituzione abbiamo già previsto di riportare la competenza di export e promozione nell'alveo esclusivo dello Stato e non più "in condivisione" con le Regioni». Nel frattempo, Calenda sottolinea il ruolo che avranno, nel decreto, i temporary export manager che saranno messi a disposizione delle Pmi che vogliono esportare: «Formeremo 2mila nuovi export manager nei prossimi mesi e sarà un'opportunità importante per molti giovani laureati. Ma non basteranno. Metteremo anche a disposizione delle aziende voucher da 10mila euro perché possano "acquistare" sul mercato questi servizi di temporary export management. Infine, proseguiremo con la penetrazione commerciale negli Stati Uniti, il "piano Usa" che prevede accordi con la grande distribuzione per inserire a scaffale più prodotti di agrofood e "made in Italy". In particolare l'obiettivo è di inserire marchi di qualità appartenenti ad aziende di piccole dimensioni. Resta l'obiettivo centrale di tutto il piano che è portare 22mila imprese in più ad esportare. Fondamentale è il sostegno del Presidente del Consiglio che, dopo la missione in Africa, ha assicurato la sua presenza in una serie di missioni internazionali con aziende».
Intanto, sinora, ai 6 roadshow organizzati dall'Ice, assieme a Simest e Sace, a Biella, Bari, Milano, Ancona, Mantova e Reggio Emilia, hanno partecipato quasi 3mila aziende. Tutte Pmi, 6 su 10 vendono saltuariamente all'estero (quasi esclusivamente entro i confini europei) e ricavano appena 500mila euro di fatturato dalle operazioni oltreconfine.
«Siamo partiti dalla constatazione – ha spiegato il presidente dell'Ice, Riccardo Maria Monti – che tante aziende avevano una conoscenza limitata dei servizi e degli strumenti a disposizione per l'export. I roadshow che proseguiranno in autunno e per tutto il 2015 funzionano perché sono le istituzioni che vanno verso le Pmi e non il contrario. Funziona il one-to-one tra impresa e consulenti. L'Ice – che dalla sua reintroduzione ha ridotto i costi del 30% e nel 2014-2015 lo farà di un ulteriore 5% – punta a passare da erogatore di informazioni a erogatore di servizi – ha concluso Monti –. Con un impegno – col Piano Export Sud – a far esportare le Pmi meridionali, grazie a un miglior utilizzo dei fondi strutturali, a. Oggi il sud contribuisce ad appena il 10% dell'export nazionale».

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