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Questo articolo è stato pubblicato il 27 luglio 2014 alle ore 20:20.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 20:53.

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Eppure non tutti sono convinti. Quando parli di Nibali, e dici che finalmente l'Italia ha prodotto un nuovo campione dopo Pantani, molti storcono il naso e ti guardano con quell'aria cinica con cui si guardano i bambini o gli inguaribili ingenui. E ti dicono: Sì, vabbè, ma è tutta farina del suo sacco? Da dove spunta questo fenomeno?
Qui bisogna fare ordine. Nibali non è un talento spuntato fuori dal nulla. Vincenzo in carriera ha già ottenuto un primo e secondo posto alla Vuelta, un primo posto al Giro d'Italia e un terzo al Tour de France del 2012. Lasciando perdere il resto, questo ragazzo siciliano che è andato in Toscana per imparare il mestiere, è quindi un campione che è maturato gradino dopo gradino.

È cresciuto bene, senza fretta, con quel carburante naturale che si chiama passione, altrimenti uno a 14 anni non lascia famiglia e amici per mettersi a correre in bicicletta.
Sull'altro punto, quello del doping, la grande ferita che il ciclismo si porta dietro dalla morte di Pantani e dalle pagine nere di Lance Armstrong, lasciamo rispondere lo stesso Vincenzo: «Al mio primo Tour nel 2008 c'era gente che mi scattava in faccia e poi avrebbe avuto problemi di doping. I controlli hanno fatto grandi passi avanti e sono arrivati i risultati. Senza questi controlli mirati e ferrei, io oggi non sarei qui».

C'è poi un altro aspetto, a questo proposito, da considerare: che i tempi di Nibali, in quasi tutte sue imprese di questo Tour, sono più bassi rispetto a quelli fatti nel precedente decennio, quello più flagellato dal doping. Un esempio? Nella salita di Hautacam, la sua quarta vittoria di tappa nei Pirenei, la più emozionante, Vicenzo ha impiegato quasi tre minuti in più rispetto a Bijarne Riis, maglia gialla nel 1996, ma soprattutto grande dopato e chiamato Monsieur 60%, con riferimento al suo tasso di ematocrito.

Cosa vogliamo dire? Vogliamo dire che siamo ritornati a tempi più umani. E che quelli dei marziani sono finiti, o perlomeno arginati. Poi va dato atto a Nibali che, da quando corre, non è mai stato sfiorato da nessun caso sospetto. Qualcosa vorrà pur dire.

Stesso discorso per gli stucchevoli confronti con Contador e Froome. Inutile continuare a ripetere la litania che, con loro in corsa, la musica sarebbe stata diversa. Anche con loro presenti, Nibali ha sempre tenuto in pugno la corsa. Come per esempio a Sheffield, quando Vincenzo prese tutti in contropiede vincendo da consumato Finessuer.
Ma non basta: il capolavoro del nostro scugnizzo è stato quello realizzato nella tappa del pavè, quando Froome si ritirò per infortunio e Contador si beccò quasi due minuti.

Già in questa prima fase il siciliano ha gettato le basi del suo trionfo. Poi dopo è arrivato il resto: la vittoria sui Vosgi a Planche de Belles Filles; sulle Alpi a Chamrousse e sui Pirenei ad Hautacam. Certo con Contador ci sarebbe stata battaglia dura, fuoco e fiamme, ma lo spagnolo era già indietro quando si è ritirato. Avrebbe dovuto recuperare più di due minuti e mezzo a un Nibali implacabile in montagna e agilissimo in discesa. Forse lo spettacolo ci avrebbe guadagnato, ma Nibali in questo Tour non ha mai mostrato un momento di cedimento. E alla fine i conti si fanno con i presenti. Gli assenti, è una vecchia regola dello sport, hanno sempre torto.

Questo ragazzo, così poco "mediatico" così poco incline a far "selfie" o a scrivere tweet idioti, ha anche dovuto conquistare la fiducia degli italiani, ormai disabituati a seguire campioni che vanno in prima pagina per quello che fanno davvero, e non per le stupidaggini che dicono. Che emergono per il loro valore e non per le bellone che portano in discoteca o per come si fanno tatuare e portano la cresta. Vincenzo è un ragazzo molto normale. Cresciuto in un famiglia normale e con un padre che, se faceva i capricci o cadeva dalla bicicletta, gli dava anche uno sculaccione. Cose improponibili nell'Italia di oggi dove un bambino non va mai sgridato neppure se distrugge tutta la cristalleria di casa. Invece Vincenzo è cresciuto bene. In un modo talmente normale da farlo diventare un fuoriclasse.

Sono gli strani scherzi del destino che hanno permesso a Nibali di entrare nella ristretta galleria di chi ha vinto Giro, Tour e Vuelta. E cioè in compagnia di campioni come Jacques Anquetil, Bernard Hinault, Felice Gimondi, Eddy Merkcx e Alberto Contador. Tutti straordinari campioni, che sono ben contenti dì far spazio a questo tenace scugnizzo che viene dal mare ma si trasforma in squalo quando va in montagna o sul pavè.

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