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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2014 alle ore 07:22.
L'ultima modifica è del 31 luglio 2014 alle ore 08:11.

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Nessun progresso nel dialogo tra Madrid e Barcellona. Mariano Rajoy e Artur Mas si sono incontrati alla Moncloa senza spostarsi dalle loro convinzioni. Resta totale (e forse insanabile) la rottura sul referendum voluto dalla Catalogna per decidere sulla propria indipendenza. «Il referendum è illegale, non si può celebrare e non sarà celebrato», ha ribadito il premier spagnolo. «Il referendum si terrà il 9 novembre. Andiamo avanti. Vogliamo celebrarlo legalmente, in un quadro legale, e possibilmente in accordo con lo Stato», gli ha risposto il leader della regione più ricca del Paese. Ma la trattativa non si chiude e dal governo nazionale potrebbe arrivare una proposta di mediazione.

Il faccia a faccia tra Rajoy e Mas - il primo dopo undici mesi di accuse reciproche e messaggi di sfida - si è «svolto in un clima di rispetto e considerazione da ambo le parti», come spiega il comunicato ufficiale del governo nazionale. In alcuni passaggi è sembrato addirittura di cogliere un timido avvicinamento. Rajoy ha elogiato la Catalogna per «il contributo dato al progresso generale del Paese». Mas ha consegnato al capo del governo un documento con 23 proposte dagli stimoli all'economia, alle infrastrutture, all'istruzione, alla sanità sulle quali attende risposte dallo Stato. E ha commentato positivamente «il clima di dialogo aperto della riunione». Dopo due ore di colloquio, i due si sono però salutati senza guardarsi, con una stretta di mano di circostanza.

Il negoziato continuerà. Ma sembra molto difficile arrivare a un compromesso sulla consultazione popolare che Mas sta sbandierando da anni e sul quale ha il pieno appoggio degli altri partiti separatisti, anche di sinistra. «Una volta di più si è dimostrato che lo Stato spagnolo non ascolta i catalani», ha detto ieri Oriol Junqueras, leader di Esquerra Republicana de Catalunya.
Mentre Rajoy e il suo Partito popolare hanno sempre fatto una bandiera dell'unità nazionale, anche nella tragica storia del separatismo nei Paesi Baschi. Trovando, anche in questi giorni, il sostegno del Partito socialista - appena passato dalla guida del "navigato" Alfredo Perez Rubalcaba a quella del "nuovo" Pedro Sanchez - tradizionalmente più aperto ha un modello di Stato meno centralizzato.

«Il referendum è illegale - ha ribadito il premier - non si può celebrare e non sarà celebrato. È anticostituzionale. Saranno usati tutti i mezzi previsti dalla Costituzione per impedirlo». E, quasi in un dialogo tra sordi, il presidente della Generalitat ha riaffermato che a novembre i catalani andranno alle urne per rispondere ai due quesiti referendari già definiti: «Vuoi che la Catalogna sia uno Stato» e in caso affermativo, «Vuoi che sia uno Stato indipendente?».

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