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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2014 alle ore 17:04.
L'ultima modifica è del 31 luglio 2014 alle ore 22:23.

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Giovani manifestano a favore del Governo argentino a Buenos Aires (Ap/LaPresse)Giovani manifestano a favore del Governo argentino a Buenos Aires (Ap/LaPresse)

Default sì, default no. Per le agenzie di rating è default, per il governo argentino no. Un'altra crisi, un altro possibile disastro. Con qualche importante differenza rispetto al crack del 2001 (meno fragilità) e molte anomalie del sistema finanziario internazionale (non attrezzato per fronteggiare un crack).

L'Argentina è tecnicamente caduta in default per non aver pagato 539 milioni di dollari di interessi in scadenza su titoli ristrutturati nel 2005 e nel 2010. Ma in verità Buenos Aires, alcune settimane fa, ha versato questa cifra presso la Bank of New York Mellon, che però non paga i possessori di titoli perché una sentenza di un giudice americano di 84 anni, Thomas Griesa, della Corte distrettuale di Manhattan, impone di pagare prima gli hedge fund che chiedono 1,5 miliardi di dollari, ovvero il rimborso integrale (100%) del valore facciale di quei bond rastrellati a pochi centesimi di dollaro.

Le conseguenze di questa crisi, consumata tra Buenos Aires e New York negli ultimi trenta giorni, quelli del "periodo di grazia", sono difficili da prevedere ma si ipotizzano due scenari.

Il primo è quello di una trattativa che avanza e procede anche nelle prossime settimane, a dispetto di un clima incandescente tra il governo argentino e i rappresentanti degli hedge fund che vogliono incassare enormi dividendi per una speculazione senza precedenti.

Insomma le parti continuerebbero a lavorare alla ricerca di un accordo che consenta all'Argentina di arrivare al 31 dicembre 2014 quando scadrà la clausola vincolante: quella che permetterebbe a chi ha accettato il concambio nel 2005 e nel 2010 di esigere lo stesso trattamento concesso successivamente ad altri bondholder.

Una clausola tagliola che farebbe impennare in modo esponenziale i costi del rimborso per il governo argentino. Cifre che, secondo le stime, superano i 100 miliardi e davvero spingerebbero il Paese nel baratro. Il raggiungimento dell'accordo tra governo argentino e hedge fund, dopo il 31 dicembre 2014, farebbe rientrare ogni timore e la ristrutturazione del debito continuerebbe senza altri strappi.

Il secondo scenario è invece più cupo. Il clima di incertezza spingerebbe i risparmiatori argentini a ritirare i risparmi dal sistema bancario generando un clima di panico e di sfiducia che potrebbe preludere a una situazione simile a quella del dicembre 2001, quando è scoppiata una crisi finanziaria degenerata in una crisi economica e politica di gravi proporzioni.

Intanto domani è in programma una nuova udienza, tenuta come di consueto da Thomas Griesa, il giudice americano che sta presiedendo la disputa tra l'Argentina e i creditori «holdout», gli hedge. L'appuntamento in tribunale è previsto alle 14 ora di New York, le 20 in Italia. Dire che l'Argentina è in default è «una cavolata atomica», ha detto oggi il ministro dell'Economia Axel Kicillof, in apertura di una conferenza stampa a Buenos Aires sul fallimento della trattativa con gli hedge fund sul pagamento dei bond non ristrutturati del paese sudamericano.

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