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Questo articolo è stato pubblicato il 31 luglio 2014 alle ore 16:35.
L'ultima modifica è del 31 luglio 2014 alle ore 16:36.
Jp Morgan Chase sta trattando per comprare i bond argentini in mano agli hedge fund, quelli che dopo il default del 2001 non sottoscrissero le ristrutturazioni del debito e chiedono di essere rimborsati pienamente. Lo scrive Dow Jones, secondo cui questo tipo di acquisto rappresenta una delle varie opzioni. L'ipotesi arriva all'indomani di trattative in extremis tra Buenos Aires e i cosiddetti creditori 'holdout', che non sono riusciti a trovare un accordo facendo registrare al Paese sudamericano il secondo default in 13 anni. Proprio ieri, durante una conferenza stampa a New York, il ministro argentino delle Finanze Axel Kicillof ha detto che una soluzione attraverso l'intervento del settore privato era possibile. (Radiocor)
di Marco Valsania
L' Argentina ha dichiarato default. Anzi per l'esattezza Buenos Aires ha negato l'evidenza: il suo ministro dell'economia Axel Kicillof ha sfoggiato una buona dose di "realismo magico" latinoamericano convocando una conferenza stampa ieri sera per sostenere che, dopo due giorni di incontri a oltranza, le trattative con una cordata di hedge fund ribelli erano fallite. Ma che il suo Paese non era in default. Perché aveva mostrato l'intenzione di pagare, trasferendo a New York i fondi necessari a coprire interessi in scadenza su bond ristrutturati.
Peccato che di buone intenzioni siano proverbialmente lastricate le vie dell'inferno. In questo caso, peccato che il giudice Thomas Griesa quei fondi, 539 milioni, li abbia ormai da tempo congelati, giudicandoli irregolari in assenza di pagamenti accettati anche dai creditori dissidenti. Come ha dovuto ammettere lo stesso Kicillof, «la Repubblica Argentina ha richiesto una sospensione della sentenza, il giudice ha detto che se gli hedge fund avessero accettato avrebbe decretato la sospensione, ma i fondi avvoltoio non hanno accettato».
Detto fatto: l'Argentina è, a tutti gli effetti, in default. Il secondo in 13 anni, un record negativo, che gli analisti sperano non abbia contraccolpi contenuti sui grandi mercati internazionali - visto che Buenos Aires e' assente dal palcoscenico obbligazionario globale dal primo default, quello del 2001-2002, e che il debito argentino nell'indice di JP Morgan dei mercati emergenti rappresenta poco piu' dell'1 per cento. Ma che minaccia ripercussioni piu' severe per Buenos Aires, dove potrebbe aggravarsi la recessione e l'inflazione, gia' ora al 40 per cento. Ne', per cancellare il default, basta condannare moralmente gli hedge come ingordi "avvoltoi", popolare o meno che l'accusa sia.
Del default se ne e' subito accorta l'agenzia di valutazione del credito Standard & Poor's. Prima ancora dell'annuncio di Kicillof, alla chiusura dei mercati di mercoledi', vista l'impasse S&P ha concluso che il Paese e' in "selective default", un rating che corrisponde al mancato pagamento su alcuni dei titoli del suo debito sovrano in valuta straniera. E se ne e' accorto, amaramente, il mediatore incaricato dal tribunale, Daniel Pollack, di cercare un'intesa tra le parti. "Il default non e' solo una questione tecnica - ha detto - E' un doloroso evento che danneggia persone reali: tutti i cittadini argentini, i creditori che avevano accettato i titoli ristrutturati e che ora non ricevono gli interessi e i creditori dissidenti che non possono far valere le loro vittorie giudiziarie". Pollack ha detto che restera' a disposizione per ulteriori negoziati, che stanto agli osservatore sono tuttora possibili per risolvere la lunga crisi.
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