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Questo articolo è stato pubblicato il 02 agosto 2014 alle ore 10:24.
L'ultima modifica è del 02 agosto 2014 alle ore 10:28.
I negoziati tra l'Argentina e gli hedge fund statunitensi forse riprenderanno. Ma la strada è irta di ostacoli e il default del Paese latinoamericano ha intanto fatto scattare i pagamenti su miliardi di dollari di Credit default swap, i derivati che operano come polizze assicurative sul debito.
La decisione sui Cds è stata presa dall'associazione del settore, la International Swaps and Derivatives Association, che su richiesta della banca UBS ha ieri emesso il proprio "verdetto" nella vicenda argentina. Il pagamento di 539 milioni in interessi su titoli sovrani rappresenta un "credit event", un evento creditizio, che consente a chi avesse comprato i Cds di battere cassa.
Il totale dei derivati sul debito in circolazione, secondo alcune stime, ammonta a oltre 20 miliardi di dollari. Anche se una volta tenuto conto di operazioni ideate a copertura proprio di simili circostanze, i versamenti netti dovrebbero essere ben più contenuti, 1,04 miliardi.
I duellanti sono stati convocati ieri dal giudice federale di New York Thomas Griesa, le cui sentenze a favore degli hedge sono state rifiutate da Buenos Aires e hanno innescato la saga del default. Griesa ha chiesto l'immediata ripresa del negoziato per trovare un compromesso sotto la guida del mediatore da lui incaricato, Daniel Pollack, affermando che le parti «sono tenute a cooperare».
Ma l'impasse è rimasta per ora immutata: i legali di Buenos Aires hanno detto che il Paese intende perseguire un dialogo con i creditori ribelli. Ma hanno bocciato nuove trattative con il mediatore, sfiduciandolo e definendolo «incompetente». Griesa ha risposto seccamente di «non vedere alcuna ragione per nominare un nuovo mediatore», ha criticato il Paese per non aver rispettato l'ordine di pagare i creditori dissidenti e ricordato che il default «non cancella gli obblighi della Repubblica Argentina».
Finora le ripercussioni negative della crisi sono rimaste contenute e concentrate sui mercati dell'Argentina. Un protrarsi della battaglia per mesi potrebbe però aumentare i rischi, sia per l'economia di Buenos Aires che per altri mercati emergenti in difficoltà. L'Argentina è finita in default otto volte nella storia ma due volte solo negli ultimi 13 anni, un record negativo.
Le ipotesi di interventi del settore privato restano tra le più credibili per riallacciare il negoziato. JP Morgan e le banche argentine hanno considerato formule per farsi carico dei pagamenti dovuti dall'Argentina agli hedge. E nelle ultime ore il ministro dell'Economia Axel Kicillof ha fatto sapere di «non essere contrario» a proposte del settore privato.
Gli hedge, NML Capital di Elliott Management e Aurelius, hanno rilevato 1,3 miliardi di vecchi titoli del debito argentino, che facevano parte del default su quasi cento miliardi dichiarato nel 2001 da Buenos Aires. Hanno però respinto i piani di ristrutturazione concordati nel 2005 e nel 2010 dall'Argentina con oltre il 90% dei creditori, che prevedevano perdite fino al 70% da parte degli investitori. La disputa sui bond, denominati in dollari ed emessi sotto la legge statunitense, è finita davanti al giudice Griesa che ha imposto all'Argentina di compensare gli hedge ribelli se voleva pagare gli interessi sul debito ristrutturato, altrimenti irregolari. Griesa ha visto la sua sentenza confermata dalla Corte Suprema e ha bloccato capitali argentini destinati a rispettare una scadenza del 30 luglio su titoli del debito ristrutturati.
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