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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2014 alle ore 19:45.
L'ultima modifica è del 08 agosto 2014 alle ore 10:01.

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(Afp)(Afp)

Le croci sono rimosse dalle chiese, gli antichi manoscritti bruciati, famiglie cacciate dalle loro case e taglieggiate. Nell'estate delle guerre vicine - il conflitto arabo-israeliano e la crisi russo-ucraina - si consuma la fuga dei cristiani in Iraq, si perseguitano gli iracheni di altre fedi e diverse etnie che non si convertono all'Islam nelle sue forme più radicali, fra loro 40mila Yazidi, antichissima setta religiosa di lingua curda.

Il punto di svolta sembra essere stato la conquista di Mosul, città principale del Nord del Paese, in mano ora al gruppo di terroristi sunniti, lo Stato islamico del Levante, in sigla Isis o Isil, che sfida Al Qaeda, usa con naturalezza i social network, annuncia la nascita di un califfato che chiama semplicemente Stato Islamico. Obiettivo dell'Isis sembravano solo gli sciiti, l'altra grande famiglia dell'Islam ora al potere a Baghdad cui i jihadisti hanno dichiarato guerra.

Nel frattempo il gruppo guidato dal al Baghdadi riconquista i luoghi del sunnita Saddam Hussein, come la città natale Tikrit, si distingue per la ferocia e le crocifissioni in Siria, l'altro paese in cui è attivo. Come i taliban in Afghanistan che nel marzo 2001 distrussero i millenari Buddha di Bamiyan con gli esplosivi, oggi i miliziani dell'Isis distruggono patrimoni come la tomba di Giona.

Ora centomila cristiani fuggono da Mosul. Il patriarca caldeo di Kirkuk Louis Sako racconta di «croci rimosse dalle chiese e antichi manoscritti bruciati», un «disastro umanitario». Intanto a Baghdad muoiono 14 persone per un'autobomba in un quartiere sciita e i jihadisti puntano Erbil.

Mentre il presidente Barack Obama valuta l'ipotesi di bombardamenti aerei sui jihadisti, riferisce il New York Times che cita fonti dell'amministrazione statunitense, i cristiani dei villaggi nella valle di Ninive scappano in pigiama.

Dalla Casa Bianca il portavoce Josh Earnest conferma la posizione del presidente: niente truppe americane sul terreno, «ogni eventuale azione militare sarà limitata nei suoi obiettivi», secondo Obama «non vi è una soluzione militare alla crisi dell'Iraq, serve una soluzione politica». Il portavoce ammette però che si è vicini alla «catastrofe umanitaria» e gli Stati Uniti seguono la situazione «con molta attenzione».

Dalla piana di Ninive, racconta suor Luigina delle suore caldee: «I jihadisti del califfato sono arrivati in forze ieri sera alle 11 e con gli altoparlanti hanno imposto alla popolazione di abbandonare le loro case così come erano. La gente è stata costretta a scappare in pigiama».

«Qaraqosh, la più grande città cristiana dell'Iraq - dice la religiosa all'agenzia vaticana Fides - e tutti i villaggi circostanti sono stati svuotati dei loro abitanti di fede cristiana. Persino il villaggio di Alqosh abitato da sempre solo da cristiani è stato abbandonato». «Non abbiamo ancora cifre precise sul numero degli sfollati. Si tenga presente però che la valle di Ninive aveva accolto i cristiani cacciati da Mosul nelle ultime settimane e quelli che fin dal 2003 erano fuggiti da Baghdad».

«Ora queste persone si trovano alla frontiera con il Kurdistan iracheno - aggiunge suor Luigina -. Nelle ultime ore le autorità locali hanno dato il permesso di farle entrare nel loro territorio dove sono accolte nelle parrocchie della zona. L'arcivescovo di Erbil, capitale del Kurdistan iracheno, ha lanciato un appello per raccogliere coperte e generi di prima necessità».

Papa Francesco fa appello alla comunità internazionale perché fermi questo «dramma umanitario in atto». Il Vaticano fa sapere che il «Santo Padre segue con viva preoccupazione le drammatiche notizie che giungono dal nord dell'Iraq e interessano popolazioni inermi. Particolarmente colpite sono le comunità cristiane: è un popolo in fuga dai propri villaggi a causa della violenza che in questi giorni sta imperversando e sconvolgendo la regione» dice il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi.

La «regione sconvolta» potrebbe allargarsi: si stima che il 10 per cento dei combattenti dell'Isis sono turchi ed è proprio dalla Turchia dove domenica probabile vincitore delle presidenziali sarà un candidato troppo islamico per la tradizione laica del Paese - l'attuale premier Erdogan - che piovono aiuti umanitari dagli elicotteri sui profughi iracheni sparsi nelle montagne della regione di Sinjar e nel nord dell'Iraq.

Nella Turchia che si prepara a votare, il capo della diplomazia Ahmet Davutoglu ha presieduto questo pomeriggio una riunione con i capi dei servizi segreti e delle forze armate. Tema: i rischi per il Paese del dilagare dello Stato Islamico in Iraq.


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