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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2014 alle ore 16:26.
L'ultima modifica è del 08 agosto 2014 alle ore 16:35.

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Dopo i francesi, arrivano i soci arabi. Si chiamerà sempre Alitalia, ma il comando sarà nelle mani di Etihad Airways, la ricca e potente compagnia posseduta dagli emiri di Abu Dhabi che atterra così in forze in Europa.

La delusione dei Capitani coraggiosi
Alitalia cerca di voltare pagina, dopo la delusione dei Capitani coraggiosi chiamati nel 2008 da Silvio Berlusconi, dopo che Berlusconi e i sindacati avevano fatto scappare Air France-Klm. L'offerta di acquisto dei francesi sarebbe stata molto più vantaggiosa per tutti (dipendenti, azionisti, creditori, contribuenti) rispetto al fallimento pilotato di Alitalia che ha lasciato sulle spalle della collettività più di 3 miliardi di oneri. Adesso anche la Cai dei soci privati, guidati da Roberto Colaninno e Intesa Sanpaolo, è arrivata al capolinea, con oltre 1,5 miliardi di perdite accumulate fino al 2013, la Cai è una fornace che in media ha bruciato più di 25 milioni al mese. Senza l'intervento delle Poste in dicembre e senza questo nuovo aumento di capitale approvato oggi, per 300 milioni, sarebbe già fallita.

La terza forza del Golfo e il problema del controllo
Con Etihad si tenta di nuovo la svolta, facendo affidamento sui capitali degli emiratini e sul loro successo nell'aviazione. Dopo Emirates di Dubai e Qatar Airways di Doha, Etihad è la terza forza del Golfo persico. I grandi vettori europei, da Lufthansa a British Airways, da alcuni anni conducono una crociata presso la Commissione Ue contro la massiccia espansione in Europa dei vettori arabi, li accusano di concorrenza sleale perché pagano meno tasse e avrebbero il carburante a prezzi più bassi delle altre compagnie. Accuse non facili da dimostrare, ma probabilmente non del tutto infondate. La nuova Alitalia, di cui Etihad avrà il 49% del capitale, prima di nascere dovrà superare l'esame di Bruxelles. Le norme dell'Unione europea stabiliscono che il controllo di una compagnia Ue deve essere in mano a soggetti comunitari, altrimenti quella compagnia perde i diritti di volo. Si parla di controllo non solo di diritto, cioè con la maggioranza assoluta del capitale, ma anche di controllo di fatto: difficile dubitare che non sia Etihad, ricca di soldi e di aerei, ad avere il comando della nuova Alitalia, ma perché Bruxelles bocci l'operazione bisognerà dimostrarlo.

La sfida del lungo raggio
Chi ha seguito la trattativa assicura che con gli emiratini Alitalia sarà l'avamposto in Europa di Abu Dhabi per sviluppare nuovi voli intercontinentali a lungo raggio, quello che la Cai dei patrioti berlusconiani non ha fatto, impoverendo la rete di collegamenti e lasciando spazio anche all'avanzata delle low cost sulle rotte europee e nazionali. L'anno prossimo ci sarà un nuovo volo diretto da Malpensa a Shanghai, altri collegamenti partiranno nel 2016, da Roma verso Città del Messico, Santiago del Cile e Pechino. In seguito dovrebbe essere avviata anche la rotta da Roma a San Francisco. L'incremento sarà comunque graduale. Non si sa se Alitalia avrà propri aerei per questi voli o se sarà Etihad a mettere a disposizione, ovviamente a a pagamento, i jet della sua flotta più potente. Intanto, la nuova Alitalia per tentare un nuovo decollo lascia a casa 2.251 lavoratori, che si aggiungono agli oltre 7mila della vecchia Alitalia pubblica esclusi dalla Cai nel 2008: più di 4mila di loro sono ancora in mobilità, senza lavoro.

L'utile atteso nel 2017
Il piano dell'intesa Alitalia-Etihad prevede che la nuova compagnia, dopo questa cura dimagrante, non solo nel personale ma anche nei debiti (le banche devono rinunciare a 565 milioni di crediti), raggiunga l'utile nel 2017, circa un centinaio di milioni. L'arrivo di Etihad non è una garanzia di redditività: la tedesca Air Berlin e l'indiana Jet Airways, due compagnie di cui Etihad è diventata azionista di riferimento, sono ancora in profondo rosso.

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