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Questo articolo è stato pubblicato il 08 agosto 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 08 agosto 2014 alle ore 21:02.

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Dopo gli sciiti e gli yazidi è venuto il turno dei cristiani. Nella sostanziale indifferenza dei governi del mondo, i miliziani dell'Isil - lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante - stanno procedendo alla pulizia etnica e all'espulsione forzata delle antiche comunità cristiane, che da quasi duemila anni popolano la regione. Ieri è caduta Qaraqosh, cittadina interamente cristiana, e altre tre località minori della stessa provincia.

I cristiani non sono i soli perseguitati e non lo sono solo in Siria e in Iraq. Ma sono quelli più soli. I governi dei Paesi di cui costituiscono piccole ma radicate minoranze li considerano spesso ingombranti presenze, da tollerare, ma di serie B rispetto alle comunità musulmane, poco importa se sciite o sunnite. È il caso dell'Iraq e della Siria, ma anche quello dei Copti egiziani durante la presidenza di Morsi e vedremo che linea seguirà al Sisi. Abbandonati, o perlomeno trascurati dai propri governi, non hanno letteralmente nessun santo a cui rivolgersi.
L'Occidente, infatti, è in difficoltà; teme che alzare la voce per richiederne una maggiore protezione, o addirittura intervenire direttamente in tal senso, possa esporlo alle accuse di fomentare una nuova crociata da parte delle frange più integraliste o radicali del mondo musulmano. Si distingue, almeno sul piano diplomatico, la Francia, dal XIX secolo «protettrice dei cristiani d'Oriente» e, tra le due guerre, "potenza mandataria" in Siria e Libano. E così restano soltanto le parole del Papa, importanti per consolare l'anima e sollevare la questione, ma poco efficaci da sole per bloccare i macellai dell'Isil o spingere le autorità di Baghdad a intervenire con maggiore veemenza.

Sta di fatto che mentre assistevamo con grande copertura mediatica - e infinite polemiche - alla guerra di Gaza, la Siria e l'Iraq sono uscite completamente dal nostro campo d'osservazione. E però, quello in corso nello "Sham" (il Levante arabo) è decisamente molto più pericoloso dell'ennesimo (impari) conflitto arabo-israeliano. L'Isil sta dando una svolta a due guerre civili sanguinose e durature, quella siriana e quella irachena, che fino alla sua comparsa sembravano trascinarsi senza profilare un chiaro vincitore. Sorto nell'ombra dei tanti gruppi radicali sunniti finanziati da Qatar e Arabia Saudita in funzione anti-iraniana, l'Isil si è ormai svincolato dalla tutela dei suoi antichi patroni e persegue la sua agenda.
La realizzazione del "califfato" tra Damasco e Baghdad (le due storiche sedi califfali degli Ommayadi e degli Abbasidi, all'apogeo della civiltà arabo-islamica) rischia di essere fin troppo evocativo: denuncia nei fatti la sistemazione del Medio Oriente "per Stati", seguita al crollo dell'impero ottomano, e propone un'unità araba nel nome dell'Islam sunnita. Il paradosso è che questo nuovo "califfato" ha una politica agli antipodi rispetto a quella tollerante verso le minoranze e aperta alla conoscenza dei califfati storici. Come sempre accade in politica, l'utilizzo dei concetti e delle parole travisa volentieri i significati originali pur di sfruttarne la loro supposta capacità evocativa.

Sarebbe quindi un errore fatale ostinarsi a pensare che l'azione dell'Isil sia condannata all'insuccesso per la sua «infedeltà filologica». L'Isil è la forma assunta dall'islamismo radicale nel XXI secolo, qualcosa che relega al-Qaeda nelle soffitte della storia, per la sua capacità di muoversi alla luce del sole, sui campi di battaglia, occupando il territorio e non limitandosi alla lotta clandestina e all'impiego di attentatori suicidi. Quando al Qaeda si insediò nel cosiddetto "triangolo di Falluja", dopo l'invasione americana del 2003, la sua presenza risultò alla fin fine insostenibile per gli stessi sheick sunniti, che (invogliati dai soldi americani e sostenuti dai soldati del generale McChrystal) li cacciarono. Oggi la situazione è ben diversa: non ci sono né soldati né soldi americani nella regione, la rete delle lealtà tribali appare scossa e le autorità di Baghdad e Damasco sono in enorme difficoltà... Servono soldi e armi se si vuole fermare l'Isil. E potrebbero non bastare; potrebbe essere necessario offrire quella copertura aerea senza la quale persino i peshmerga curdi stentano a resistere all'offensiva degli islamisti. Per salvare non solo i cristiani ma per impedire all'intera regione di precipitare in un baratro senza fine.

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