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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2014 alle ore 06:36.

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La lista diventa lunga. Le tensioni in Ucraina, con il rischio di un'invasione russa, le sanzioni e le controsanzioni tra Washington e Bruxelles da una parte e Mosca dall'altra, le tensioni a Gaza, quelle in Siria e ora anche i disordini in Libia e i nuovi attacchi aerei americani nel nord dell'Iraq rivendicato dagli integralisti islamici. Si può poi aggiungere - perché no? - il virus ebola in Nigeria.
È il ritorno della geopolitica, che avviene in un momento in cui Eurolandia appare più vulnerabile: l'Italia in recessione, la Francia in bilico, le difficoltà in Portogallo dopo la crisi Banco Espirito Santo, la Germania che sembra perdere colpi. Normale che i mercati rivedano le valutazioni degli assets per tener conti dei nuovi rischi.
Quali rischi? Uno è il comune denominatore delle aree di tensione (e forse non è il caso), l'energia: gas e petrolio. È stato così il mercato del greggio che sta segnalando con maggior enfasi le nuove tensioni: tende a salire per quanto avviene in Russia e in Iraq, anche se gli attacchi aerei Usa in Iraq ieri hanno un po' tranquillizzato gli operatori.
I movimenti quotidiani dei mercati sono però i meno affidabili per valutare una situazione tutta in divenire: «Non so come evolverà la situazione geopolitica e penso che neanche gli esperti lo sappiano», ha spiegato in una nota ai clienti Joachim Fels di Morgan Stanley il quale, giustamente, nota solo che «ciò che è avvenuto finora sta ampliando il gap transatlantico tra gli Usa e le economie europee, dal momento che l'Europa è molto più esposta alla Russia e a un potenziale forte rialzo nei prezzi di petrolio come effetto dei conflitti nel Medio Oriente».
Energia, dunque; e si conoscono le conseguenze di un rialzo del greggio: uno shock sull'offerta che riduce la produzione e aumenta i prezzi (un incremento che non sarebbe però una soluzione alla bassa inflazione di Eurolandia, anche se la Bce in passato ha pericolosamente sottovalutato gli effetti sulla crescita di un aumento dei prezzi del petrolio e sopravvalutato quelli sul costo della vita).
Gli economisti sono abbastanza d'accordo sul fatto che è il "canale energia" quello che potrà trasmettere le peggiori ricadute di un esacerbarsi delle crisi. Soprattutto quella russa: Eurolandia importa da Mosca il 30% circa del suo fabbisogno di petrolio e gas. Un aumento "politico" dei prezzi sarebbe quindi probabilmente più dannoso per gli acquirenti europei che per i venditori russi. Bisogna però considerare - come invita a fare Ebrahim Rahbari e il suo team di Citigroup - che i prezzi del gas (ma anche quelli del petrolio) sono relativamente bassi, e che c'è la possibilità che una parte dei possibili rincari sia ben assorbita e non abbia effetti particolarmente avversi. Anche tenuto conto del fatto che, complice l'inverno mite, le riserve dei singoli paesi sono oggi piuttosto ampie.

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