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Questo articolo è stato pubblicato il 12 agosto 2014 alle ore 06:36.

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È però anche aumentata, negli ultimi tempi, la dipendenza dell'Europa dalla Russia: le importazioni di gas da Mosca sono passate dal 27% del fabbisogno totale del 2012 al 31% del 2013. I mercati alternativi, quello algerino e quello libico (importante però più per l'Italia che per l'Unione europea nel suo complesso) non riescono - di nuovo per motivi soprattutto politici - a offrire quanto potrebbero, e così quello iraniano; mentre la produzione europea di gas (Gran Bretagna, Norvegia, Olanda) è progressivamente calata. Il "canale energia" resta quindi il più delicato.
Meno importanti sono gli effetti complessivi sull'Europa del "canale commerciale", quelli di una riduzione delle esportazioni verso la Russia, che però minacciano di colpire pesantemente singoli paesi come la Finlandia e i Baltici e, altrove, singoli settori e singole imprese , come quelle automobilistiche. Il Comitato tedesco per le Relazioni Economiche verso l'Europa dell'Est stima così che in Germania siano a rischio almeno 25mila posti di lavoro. Se però è un fatto che l'export verso Mosca sia in calo da tempo - nota Rahbari - non è facile capire quanto sia l'effetto della crisi ucraina e quanto quello di un rallentamento dell'economia russa che si sarebbe comunque verificato. Una recessione in Russia - anche scatenata da un'eventuale invasione in Ucraina, che avrebbe costi economici enormi anche per Mosca - potrebbe però appesantire il bilancio di questo canale di trasmissione della crisi.
Più tranquillo sembra essere il "canale finanziario", che potrà colpire alcuni singoli istituti in Eurolandia, ma senza creare conseguenze a livello di paese. Sarà la Russia piuttosto - ma solo nel lungo periodo - ad avere problemi a finanziare i propri investimenti sui mercati stranieri, come notano Vadim Khramov e Arko Sen di BofA Merrill Lynch.
Stati Uniti e Asia sembrano più al riparo dai rischi geopolitici, ma potrebbero essere colpite in seconda battuta da un ulteriore eventuale rallentamento dell'Europa. La questione è delicata per gli Usa, le cui esportazioni verso la Uem sono in crescita, e alimentano la ripresa, ma già minacciano di rallentare. Il dollaro è infatti rimasto curiosamente debole rispetto all'euro, mentre tutto giocherebbe a favore di un suo apprezzamento: la politica monetaria è in prospettiva più restrittiva a Washington, dove le proiezioni economiche sono migliori. Non sono pochi gli analisti che si aspettano allora una stagione al rialzo del dollaro (e di ribasso del potere d'acquisto dell'euro su petrolio e gas) che potrebbe scattare e essere amplificato anche dalla sola percezione di un maggior rischio geopolitico, o energetico per Eurolandia.
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