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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2014 alle ore 12:30.
L'ultima modifica è del 14 agosto 2014 alle ore 12:36.

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Crescita zero: non è un buon segno per la ripresa di Eurolandia. Come sono decisamente brutti il calo del Pil tedesco (-0,2% trimestrale), la stabilità della Francia (che nasconde in realtà una flessione), la terza recessione in Italia (-0,2%, dopo lo 0,1% del primo trimestre): sono le grandi economie dell'area, infatti, a perdere colpi. Tutte le altre – tra quelle che hanno già annunciato i numeri di questa primavera – continuano a crescere, a cominciare dalla Spagna (+0,6% dopo lo 0,4% dell'inverno) e con la piccola eccezione di Cipro (-0,3%). Ovunque, nelle grandi economie, si assiste a un calo degli investimenti che richiede come risposta una politica "a due facce".

Costruzioni in calo in Germania
Eurostat non ha fornito dettagli su quanto sta accadendo in Eurolandia. A inizio settembre si potrà avere qualche indicazione in più. Una cosa però è chiara: sono gli investimenti a venir meno. È così in Germania, dove, secondo le prime indicazioni dell'istituto di statistica Destatis, la domanda al consumo tiene (insieme alle spese pubbliche), e se il commercio estero ha fatto da freno è stato perché le importazioni sono state più veloci delle esportazioni, che forse hanno subìto il rallentamento russo, ma hanno comunque continuato a crescere.

Un inverno troppo mite
Sono stati gli investimenti, quindi, a venir meno. In Germania, però, ha pesato soprattutto il fatto che l'inverno mite aveva permesso di anticipare molte iniziative edili previste nella primavera: è stata così esaltata la crescita del primo trimestre (+0,7%) e rallentata quella del secondo. Secondo Thomas Harjes di Barclays, il meteo ha spinto di 0,2-0,3 punti percentuali il dato dell'inverno, mentre secondo Destatis alcuni "posti festivi" hanno inoltre pesato per almeno 0,4 punti percentuali sul risultato della primavera. Se queste indicazioni fossero confermate, l'andamento "depurato" del Pil risulterebbe in una crescita zero.

Beni capitali in flessione in Francia
Crescita zero è quella annunciata in Francia, per la quale l'Insee riesce a fornire subito molti dettagli. Qui i consumi hanno ripreso a crescere (+0,5% dal -0,5% dell'inverno), ma gli acquisti di beni capitali (costruzioni, ma anche impianti produttivi in senso stretto) continuano a calare di un sostanzioso 1,1%, dopo il -1% del primo trimestre. La buona domanda interna ha spinto le importazioni mentre le esportazioni sono rimaste ferme: il commercio estero ha quindi pesato per 0,1 punti percentuali sul dato finale. Il Pil francese risulta così in leggerissimo calo, che l'arrotondamento non riesce a rilevare e il dato ufficiale parla di crescita zero.

L'Italia non è più un'eccezione
Da eccezione, l'Italia si presenta allora in linea con i grandi partner: l'Istat non ha fornito dettagli, ma il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi ha attribuito proprio all'andamento degli acquisti di beni capitali il cattivo andamento della nostra economia. Uno dei fattori del calo del Pil italiano, ha detto giovedì 7 agosto in conferenza stampa, «è il livello notevolmente basso degli investimenti privati, mentre si osserva un rimbalzo dei consumi privati. Per quanto riguarda gli investimenti privati – ha poi aggiunto - i numeri sono molto bassi. Non è un fenomeno unico in Eurolandia. Il livello degli investimenti privati nell'area dell'euro è complessivamente basso, e certamente molto più basso che in altre parti del mondo, come gli Stati Uniti».

Domanda o offerta?
Quali sono le cause di questa flessione comune a tutti? Secondo Draghi, la flessione degli investimenti non è legata ai costi. «I tassi di interesse nominali e reali – ha detto – sono stati e sono bassi, in alcune parti dell'area euro sono negativi e sono stati negativi per lungo tempo. Una ragione è che bisogna tener conto della domanda attesa, l'altra ha a che fare con le riforme, l'incertezza, l'incertezza generale. La mancanza di riforme è un fattore molto potente che scoraggia gli investimenti».

Le vie d'uscita
Le parole di Draghi sono interessanti perché individuano due aspetti del problema; e probabilmente in ogni paese pesano in modo diverso. C'è una carenza di domanda (attesa), che incide e molto, e per essa ci sono due rimedi: una politica monetaria molto espansiva, forse anche più espansiva di quella applicata dalla Bce, e una politica fiscale, non utilizzabile però allo stesso modo da tutti i paesi. Un deficit più ampio e, quindi, un maggior ricorso al debito rischia di aumentare i tassi di interesse e drenare troppo risparmio, penalizzando ulteriormente gli investimenti privati. Dall'altro lato ci sono strozzature sull'offerta: per creare occupazione, e per questa via, crescita occorre creare nuovi impianti e nuove imprese, cosa ardua in assenza di domanda ma anche in presenza di un ambiente non favorevole.

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