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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2014 alle ore 15:19.
L'ultima modifica è del 17 agosto 2014 alle ore 20:04.

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Uomini armati hanno fatto irruzione in un centro di cura del virus Ebola a Monrovia, capitale della Liberia, saccheggiandolo e provocando la fuga di 29 malati. Lo hanno reso noto fonti concordanti sul posto, precisando che l'attacco è avvenuto nella notte tra ieri e oggi.

Gli assalitori «hanno sfondato le porte e hanno saccheggiato i locali. Tutti i malati sono fuggiti», ha riferito Rebecca Wesseh, testimone dell'attacco. A confermare il suo racconto, anche le parole di abitanti della zona e il segretario generale dei lavoratori della sanità in Liberia, Georges Wil. La Liberia è uno dei tre Paesi dell'Africa Occidentale più colpiti dall'epidemia di febbre emorragica. Secondo l'Oms (Organizzazione mondiale della sanità) ha già avuto 413 morti.

Il Kenya chiude le frontiere
Il Kenya ha annunciato la sospensione di tutti i voli dalla Liberia, la Guinea e la Sierra Leone a causa dell'epidemia di ebola. Il ministro della Salute, James Macharia, ha affermato che i passeggeri provenienti da questo Paese, anche via mare, non potranno entrare in Kenya. «Il bando esclude professionisti sanitari impegnati negli sforzi per contenere l'epidemia e cittadini del Kenya che ritornano in patria», ha spiegato il ministro. Queste persone verranno tuttavia esaminate attentamente e sottoposte a quarantena se necessario. Al momento vi sono stati cinque casi sospetti di ebola in Kenya, ma sono risultati tutti negativi ai test per la presenza del virus.

«Non abbiamo mai visto una cosa del genere prima. Bisogna studiare una nuova strategia perchè l'epidemia di Ebola ormai non riguarda più solo villaggi di campagna ma anche città come Monrovia, che ha più di un milione e 300mila abitanti». E la megalopoli nigeriana Lagos. L'allarme, pressante quanto drammatico, arriva dal direttore di Medici senza frontiere, dottoressa Joanne Liu, al termine di una visita di due giorni nell'Africa Occidentale. «Il virus si propaga molto più rapidamente del previsto - aggiunge la dottoressa - E dobbiamo ammettere di aver veramente sottovalutato questa nuova epidemia di febbre emorragica». Le cifre parlano chiaro (migliaia di contagiati e 1.145 morti) ma non rendono un'idea della situazione reale. Perché «la gente non si fida dei centri sanitari e cerca di non andarci ... Molti tra coloro che seguono i pazienti non hanno competenze e attrezzature sufficienti e comunque medici e infermieri sono troppo pochi ... Si va diffondendo un clima di paura generalizzata come in tempo di guerra. E la paura non porta mai a nulla».

Accanto all'Oms scende in campo anche il Pam (Programma alimentare mondiale) che ha deciso di distribuire aiuti alimentari a più di un milione di persone (finora ne portava solo per poche migliaia) e di installare computer collegati con l'Organizzazione in tutti i Paesi colpiti, in modo da seguire in tempo reale l'evoluzione dell'epidemia. Il virus Ebola é comparso per la prima volta nel 1976 ma la febbre emorragica che sta devastando l'Africa Occidentale da cinque mesi non ha precedenti per virulenza e rischio di propagazione. Proprio perché ad essere colpite sono città molto popolose, dove mancano servizi igienici e sanitari di base.

Finora le vittime sono 380 in Guinea, 413 in Liberia, 348 in Sierra Leone e 4 in Nigeria. «Ma questi numeri - ha tenuto a sottolineare Joanne Liu - sono solo la punta di un iceberg» di cui non si conoscono le dimensioni. Il contagio avviene per contatto diretto con sangue, sperma, saliva, sudore, vomito e feci. E anche i tessuti di persone e animali malati, vivi o morti che siano, contribuiscono a diffondere il virus.

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