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Questo articolo è stato pubblicato il 16 agosto 2014 alle ore 16:10.
L'ultima modifica è del 16 agosto 2014 alle ore 16:20.

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(Afp)(Afp)

«Ipotizzare forniture militari europee ai curdi non è facile, soprattutto perché i peshmerga sono soliti utilizzare kalashnikov e armamenti di produzione sovietica». L'apertura europea sulla possibilità che i singoli Stati consegnino materiale militare alle autorità curde in Iraq potrebbe quindi concretizzarsi nella fornitura «di armi non letali come puntatori laser ed equipaggiamento».

Lo sottolinea all'Adnkronos Gianandrea Gaiani, direttore del portale specializzato Analisidifesa.it e tra i massimi esperti di geopolitica. «I curdi hanno sempre combattuto e combattono utilizzando armamento di fabbricazione sovietica. Solo la Germania -rileva- potrebbe fare ricorso alle armi e alle munizioni della ex Ddr ancora in suo possesso. Per l'Italia, quindi, si può pensare ad aiuti militari di altro tipo, come ad esempio sistemi di designazione dei bersagli, puntatori laser utili ad indirizzare da terra sugli obiettivi dei raid aerei dei caccia».

L'Italia, spiega Gaiani, «potrebbe poi fornire giubbotti antiproiettile, sistemi di comunicazione radio e i dispositivi anti-Ied (gli ordigni esplosivi improvvisati) già utilizzati in questi anni nel corso della missione in Afghanistan».

A giudizio di Gaiani, i recenti raid aerei Usa contro gli obiettivi jihadisti in Iraq «non hanno avuto un riscontro importante sul campo, dove la situazione non è cambiata molto. Al massimo -rileva- possono aver prodotto un effetto psicologico". «Il rischio -osserva il direttore di Analisidifesa- è che una mobilitazione americana finisca per ad al-Baghdadi una sorta di `patente´ di nuovo bin Laden. E questo potrebbe far aumentare il numero di sostenitori vicini alla causa jihadista».

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