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L'inchiesta / Manifattura al bivio

23 luglio 2014

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Impresa & Territori IndustriaLa tecnologia che resiste alla crisi

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La tecnologia che resiste alla crisi

Nello scenario industriale europeo c'è un segmento del manifatturiero che ha risentito di meno dei pesanti effetti della crisi del 2008 e della seguente recessione: è il medium tech. Di questo segmento particolare ancora poco si parla in Italia, mentre in Germania è al centro del progetto di sviluppo tecnologico industriale voluto del ministero dell'Industria in base anche al programma europeo 2020.

Eppure le imprese italiane del medium tech sono, per così dire, la punta di lancia del manifatturiero. Di queste eccellenze del made in Italy ne ha di recente scritto Gianfelice Rocca, presidente del gruppo Techint e di Assolombarda, nel libro "Riaccendere i motori", dove spiega il medium tech come «fabbriche di un'innovazione incrementale, non distruttiva, ma costruita mattone dopo mattone sulle esperienze del passato, valorizzando il merito ordinario». Fabbriche dove l'innovazione e la ricerca sono il fulcro dello sviluppo industriale ma anche della crescita sociale e territoriale. «L'innovazione incrementale - spiega infatti Rocca - fiorisce in ambienti in cui ricerca e produzione, fornitori e istituzioni educative operano in contiguità, e ha quindi profonde radici territoriali».

Lombardia, Emilia-Romagna e in parte Veneto e Piemonte sono la culla del medium tech italiano. Regioni dove l'alta concentrazione di attività manifatturiera e di distretti ha a via a via portato alla gemmazione di imprese specializzate "un po' più brave delle altre". Farmaceutico, medicale, ceramica, meccatronica, pakaging sono le attività meglio performanti. Ma i numeri sono ancora bassi rispetto alla realtà tedesca e anche francesce.
In un recente rapporto dedicato all'andamento delle imprese tecnologiche nell'Europa a 27, gli analisti di Eurostat spiegano che le imprese appartenenti al medium tech hanno di fatto resistito meglio delle altre del manifatturiero all'impatto della crisi. Tra il primo quadrimestre del 2005 e il terzo del 2012 - sottolinea il rapporto - la produzione delle imprese del manifatturiero hight tech è crescita del 26%, mentre l'attività del medium low technology e del low tech è scesa rispettivamente del cinque e del sei per cento. In questo contesto «il medium hight tech è cresciuto del 7%», spiega Eurostat. Un risultato di tutto rispetto se confrontato con il fatto che la media della produzione industriale dell'Europa a 27, nel periodo preso in esame, è crollata del 20 per cento.

L'analisi di Eurostat rivela due tendenze evidenti: alta tecnologia e medium tech sono i filoni che non solo hanno resistito alla crisi, ma hanno proseguito sulla strada della crescita; l'altro aspetto è che crisi e recessione hanno avviato un drastico ridimensionamento qualitatito e quantitativo tra quelle imprese delle fasce medio basse del manifatturiero. In sostanza ricerca e innovazione di processo e di prodotto sono state le chiavi per mantenere e poi guadagnare posizioni. In particolare in settori avanzati, dove anche l'Italia ha voce in capitolo, quali il farmaceutico, la chimica, l'avionica e lo aerospaziale, macchine utensili, apparecchi medicali.

Sempre secondo Eurostat, nel 2012 l'Italia con oltre 31mila imprese occupava la prima posizione nella graduatoria europea dei Paesi per numero di aziene attive nell'hi-tech e nel medium tech, con un peso totale sul manifatturiero pari al sei per cento. Al secondo posto c'é la Germania con circa 21mila imprese. Ma benchè numericamente superiori in Italia, queste imprese forniscono un apporto al valore aggiunto dell'intera economia più basso rispetto a quanto avviene in Germania.

Questa è la diretta conseguenza di due cause. La prima: a causa della frammentazione e dell'elevato numero di piccole aziende che lavorano in settori tradizionali a basso valore aggiunto, l'incidenza dello stesso valore aggiunto del manifatturiero in Italia è del 18,4% rispetto al 25% della Germania. La seconda: la produzione a bassa tecnologia è ancora prevalente (circa un terzo del valore aggiunto del manifatturiero italiano proviene da settori tradizionali).

Va tuttavia rimarcato che, proprio sulla scia della recessione, il sistema manifatturiero nazionale ha avviato una profonda ristrutturazione che ha portato a una ricomposizione delle attività verso produzioni a maggiore contenuto tech. Infatti la quota di valore aggiunto prodotto nel medium high tech è aumentata dal 24,5% a quasi il 28%, mentre la quota di pertinenza del meium low tech è cresciuta dal 26,8% al 30,7 per cento.
Performance certamente importanti, ma forse non ancora sufficienti per salire sul treno della nuova frontiera mondiale del "digital manufacturing".

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