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Questo articolo è stato pubblicato il 19 agosto 2014 alle ore 11:39.
L'ultima modifica è del 19 agosto 2014 alle ore 15:37.

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La soluzione del rebus pensioni potrebbe richiedere più tempo del previsto. Nonostante la fuga in avanti del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti - che in un'intervista al Corriere della sera di domenica si è dichiarato «favorevole a un intervento sulle pensioni alte a sostegno di quei lavoratori che altrimenti rischiano di essere esodati» – la trattativa all'interno del Governo non è ancora partita. Come confermato ieri dal viceministro all'Economia, Enrico Morando, che ha addirittura escluso un intervento in materia previdenziale e ha invitato a «concentrarsi sulle vere riforme che servono al paese: lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, fisco».

A ogni modo, al momento le ipotesi sul tavolo sembrano almeno tre: contributo di solidarietà sugli assegni oltre una certa soglia; ricalcolo con contributivo pieno dei trattamenti misti già in pagamento; prestito pensionistico sulla falsariga della "proposta Giovannini". E l'una non per forza esclude l'altra. Anzi.

Partiamo dal contributo di solidarietà che è una delle due soluzioni citate esplicitamente da Poletti. In realtà, un prelievo forzoso sugli assegni più elevati già esiste. Ed è quello introdotto, con la legge di stabilità 2014, dall'esecutivo Letta per le pensioni oltre i 90mila euro lordi, dopo la bocciatura della Consulta per una misura simile voluta da Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi nel 2011 e confermata da Mario Monti. Attualmente, infatti, chi percepisce tra 14 e 20 volte il trattamento minimo Inps (cioè tra 7 e 10mila euro lordi mensili) deve rinunciare al 6% dell'importo, che sale al 12% per chi si assesta tra 20 e 30 volte il minimo (pari a 14.800 euro) e al 18% per chi supera tale soglia.

Ora il governo Renzi potrebbe decidere di rendere l'intervento meno simbolico e più redistributivo, abbassando l'asticella fino a 3.000-3.500 euro. Del resto, una proposta in tal senso risale a un anno fa ed è targata Yoram Gutgeld. Il consigliere economico di Renzi pensa infatti a un taglio del 10% e a un blocco dell'indicizzazione per gli assegni oltre i 3.500 euro lordi calcolati secondo il metodo retributivo.

In alternativa si potrebbe pensare a una stretta più generalizzata sui trattamenti già in corso di erogazione e calcolati secondo il metodo retributivo o misto. Come proposto nello studio pubblicato a gennaio su Lavoce.info da Tito Boeri, Fabrizio Patriarca e Stefano Patriarca, che punta a decurtare gli assegni retributivi di un tot rispetto allo scostamento da pensioni analoghe calcolate con il contributivo. Più nel dettaglio, i tre economisti pensano a un contributo pari al 20% dello squilibrio sulle pensioni tra 2 e 3mila euro, al 30% tra 3 e 5 mila euro e al 50% oltre tale livello.

Per passare il vaglio della Consulta, qualunque sia la ricetta adottata, i risparmi prodotti andranno lasciati all'interno del comparto previdenziale. E veniamo così alla terza ipotesi citata all'inizio: utilizzare le risorse recuperate per risolvere una volta per tutte la grana esodati. Magari rispolverando il prestito pensionistico caro all'ex ministro del Lavoro, Enrico Giovannini.

Fermo restando che la sede per decidere sarà la prossima legge di stabilità non è così sicuro che l'esecutivo alla fine decida di rimettere mano alle pensioni. Il clima politico non è così favorevole a un'eventualità del genere. Tanto nella maggioranza, con Cesare Damiano (Pd) che avverte di non scendere sotto la soglia dei 90mila euro annui, Pietro Ichino (Sc) che consiglia di intervenire solo dove ci sono i margini e Nunzia De Girolamo (Ncd) che chiede di non toccarle. Quanto nell'opposizione, con Renato Brunetta (Fi) che sottolinea come neppure la Bce ci inviti a un intervento simile. (Eu.B)

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