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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2014 alle ore 07:19.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2014 alle ore 09:16.

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(Corbis)(Corbis)

La prevenzione
La gestione (e la prevenzione) dello stress negli ambienti di lavoro è diventata anche oggetto di un Accordo europeo e di una legge (dlgs 81/2008) che dà indicazioni su come affrontare concretamente il problema nei luoghi di lavoro, ma certo è che di strada ce n'è ancora molta da fare. I numeri parlano chiaro: secondo l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro i costi sociali dello stress ammontano a 20 miliardi di euro nell'Unione europea. Cosa si può fare? «Le strategie di gestione dello stress – spiega il professor Costa – devono riguardare sia l'organizzazione del lavoro sia le modalità operative e comportamentali delle persone, oltre che una attenta sorveglianza sanitaria». I fattori di stress variano molto non solo a seconda del contesto lavorativo, ma anche a seconda del singolo soggetto, «per questo – aggiunge il professore – non ci può essere un'unica azione o soluzione, ma è necessario sviluppare molteplici e diversificate strategia sia a livello individuale che organizzativo».

I segnali da tenere sotto controllo
A livello individuale, la prima cosa da fare è tenere sotto controllo quei segnali che possono indicare che siamo a rischio di sovraffaticamento. «Lo stress è come uno zaino – dice Mirko La Bella, psicologo e psicoterapeuta - non lo vedi ma senti tutto il suo peso. Possedere uno zaino può risultare utile ma occorre sempre conoscere il suo contenuto e valutare quanto peso ci portiamo addosso. Sapere di essere stressati indica una disregolazione emozionale, un warning sulla nostra plancia di navigazione, a cui tuttavia non siamo in grado di associare altre informazioni. Se si trattasse di un aereo la maggior parte di noi chiederebbe delucidazioni. Cosa indica quell'allarme? Si tratta della benzina o di un malfunzionamento del radar? Senza chiarimenti ci rifiuteremmo di decollare».

La mappa delle emozioni
Un aiuto verso la consapevolezza arriva da uno studio condotto di recente nell'Università di Aalto (in Svezia) su 700 persone provenienti da diversi Paesi. Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceeding of the National Academy Sciences (PNAS), offre prove statisticamente molto solide a sostegno della dimensione corporea, biologica e transculturale delle emozioni. I ricercatori, infatti, hanno mappato le emozioni umane in regioni specifiche del corpo. La paura, la rabbia, il disgusto, la tristezza, la vergogna e la gioia non sono solo eventi mentali ma anche fisici perché attivano la fisiologia di specifiche aree del nostro corpo. «Indicare a se stessi che il corpo è in ansia quindi non basta – dice La Bella - nella gestione del nostro equilibrio, ad esempio, dopo un litigio dovremmo accogliere e comprendere "quel bruciore di stomaco" conseguente come segnale di rabbia invece di tacitarlo farmacologicamente. Far finta di niente, ignorando le nostre emozioni, mantiene attivi i processi infiammatori dello stress aprendo la porta a patologie come ad esempio gastrite e ulcera. Quando pressioni ambientali ci mantengono in allarme costante occorre monitorare segnali come la difficoltà ad addormentarsi (o mantenere il sonno), l'irritabilità, la tachicardia, l'ipervigilanza ed esagerate risposte di paura o rabbia». E se questi segnali perdurano nel tempo, è il caso di chiedere aiuto.

@chiaradicri

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