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Questo articolo è stato pubblicato il 07 settembre 2014 alle ore 12:39.
L'ultima modifica è del 07 settembre 2014 alle ore 21:28.

Matteo Renzi e Pedro Sanchez (Ansa)Matteo Renzi e Pedro Sanchez (Ansa)

BOLOGNA - È l'ora di fare scelte diverse in Europa, è l'ora di cambiare la politica economica europea per dare più forza alla «crescita» rispetto alla «stabilità». Matteo Renzi chiude la festa dell'Unità di Bologna con un comizio classicamente da segretario, toccando tutte le corde care al popolo democratico.

Un anno fa proprio qui a Bologna, quando ancora a Largo del Nazareno sedeva Guglielmo Epifani e a Palazzo Chigi Enrico Letta, il popolo democratico della rossa Emilia lo aveva acclamato di fatto nuovo leader con un'accoglienza calorosissima e per molti inaspettata. «Il futuro è un posto bellissimo, andiamoci tutti insieme - torna a dire dopo un anno Renzi -. Se non ce la fa il Pd non ce la fa nessuno, in gioco non è il futuro di un segretario ma il futuro del Paese. Io non mollo di un centimetro, questo Paese lo cambiamo costi quel che costi».

Ma ora, da premier che guida l'Italia nel semestre europeo, il segretario sa che la partita vera per uscire dalla stagnazione e far ripartire il Paese si gioca a Bruxelles. Da qui la sfida al popolare Jean-Claude Juncker, nuovo presidente della Commissione Ue proprio grazie all'accordo con il Pse di cui il Pd con il suo 41% costituisce il primo partito e il traino.
«Juncker, anche per avere il nostro appoggio alla sua candidatura, ha annunciato investimenti in Europa per 300 miliardi - scandisce Renzi dal palco -. In Italia questi miliardi sappiamo dove metterli: nell'edilizia scolastica, nelle reti a banda larga di nuova generazione, nelle tecnologie ambientali, nelle opere contro il dissesto. Noi sappiamo dove spendere. Juncker ha detto "Io metto 300 miliardi di euro": ecco, noi dobbiamo chiedere conto di questa promessa perché altrimenti sono solo parole. Juncker entra in carica il primo novembre, noi chiederemo di essere molto puntuali».
E soprattutto, torna a ripetere, «bisogna anche avere il coraggio di dire che queste misure sono fuori dal Patto di stabilità. Abbiamo dei tempi serrati e noi faremo sentire la forza di essere il partito più votato in Europa».

Quanto alla politica monetaria, Renzi plaude alle ultime scelte di Mario Draghi. Ma Draghi, ricorda, ha anche invitato le banche europee a mettere a disposizione delle imprese la maggiore liquidità immessa nel mercato. «Ora tocca alle banche», dice il premier.

Non a caso la sfida a Juncker (e alla cancelliera Angela Merkel, sia pure non nominata) arriva dopo il summit con i giovani socialisti europei in "camicia bianca" come tacito omaggio a Tony Blair: protagonisti del dibattito sull'Europa che ha preceduto il comizio finale di Renzi sono il premier francese Manuel Valls, il giovane e bel leader del Partito socialista spagnolo Pedro Sanchez, il segretario generale del Partito socialista europeo Achim Post, il leader dei laburisti e vicepremier olandese Diederik Samsom. Una sorta di «lobby per cambiare la politica economica in Europa superando la fase dell'austerity», come ha avuto modo di commentare a distanza l'economista francese Jean-Paul Fitoussi.

C'è la partita per la flessibilità in Europa, ma c'è anche il partito. Dopo le polemiche dei giorni scorsi sono tutti a Bologna, vicini al segretario, a cominciare dall'ex leader Pier Luigi Bersani. «Dobbiamo trovare il modo di stare insieme», dice Renzi proponendo di aprire la nuova segreteria a tutte le aree. Una proposta che ha, però, due condizioni: nessun diritto di veto e nessuna rivincita sul congresso. «Se in questo partito qualcuno vuole la rivincita l'avrà nel novembre 2017, se vuole lavorare può farlo da domani mattina», chiarisce.

E l'invito, a quanto si apprende, è stato già accolto e giovedì, dopo 6 mesi, il Pd avrà la nuova segreteria nella quale entreranno anche il dalemiano Enzo Amendola e la bersaniana Micaela Campana. Renzi offre alla minoranze le tanto agognate modifiche all'Italicum: il superamento delle liste bloccate con i collegi uninominali o con le preferenze e l'uniformazione delle soglie di ingresso al 4% (ora sono all'8% per i partiti non coalizzati) in modo da non lasciare fuori dal Parlamento importanti forze politiche.

Ma non a caso Renzi non accenna neanche per sbaglio ad uno dei temi caldi del dibattito estivo, ossia il superamento dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che per la sinistra dem è ancora un totem difficile da abbattere. Il jobs act può attendere.

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