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Questo articolo è stato pubblicato il 09 settembre 2014 alle ore 11:26.
L'ultima modifica è del 09 settembre 2014 alle ore 14:09.

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Ci sono ancora diversi problemi da risolvere. E poltrone strategiche ancora vacanti, come il ministero della Difesa e quello degli Interni. Ma la creazione di un nuovo Governo di unità nazionale in Iraq segna un deciso passo in avanti nella battaglia contro gli estremisti dello stato Islamico (Is o Isis). Un passo così importante da aver subito spinto il presidente americano Barack Obama a telefonare al neo premier Haider al-Abadi congratulandosi con lui. I due leader, ha chiarito un comunicato diffuso dalla Casa Bianca, "si sono detti d'accordo che il governo dovrebbe velocemente assumere iniziative concrete per venire incontro alle aspirazioni e alle legittime rimostranze del popolo iracheno".

Un messaggio chiaro che, seppur senza dirlo esplicitamente, sembra alludere alla comunità sunnita. Senza un Governo realmente rappresentativo, è infatti difficile che Washington dia il via a quel rafforzamento militare – e all'invio di nuovi armamenti pesanti - così necessario per ricostruire l'esercito iracheno.
La sfida , tuttavia, resta difficile. L'Esecutivo di Baghdad dovrebbe sanare le profonde divisioni – interconfessionali e etniche – che si erano esasperate sotto il governo del controverso premier Nouri al Maliki, accusato dai sunniti e dai curdi di aver discriminato la minoranza a vantaggio degli sciiti.

Al-Abadi, anche egli sciita, di provenienza dal partito di Maliki (Dawa) ha subito nominato tre vice-premier:- Hoshyar Zebari, curdo, l'uscente ministro degli esteri, Saleh al-Mutlak, un esperto politico sunnita noto per essere moderato e già vicepremier, e Baha Arraji, un ex parlamentare sciita.
Alla guida dell'importantissima poltrona del petrolio ci sarà Adel Abdul Mahdi, sciita, ex vicepremier. L'ex premier Ibrahim Jaafari, pure sciita, guiderà il ministero degli Affari esteri.

Le difficoltà , tuttavia, non mancano. Il nuovo Governo è orfano dei dicasteri della Difesa, della Sicurezza nazionale e degli Interni. Poltrone fondamentali per portare avanti con successo la nuova offensiva contro l'Isis, ma su cui ci sono preoccupanti divergenze. Ricostruire l'esercito, cercare di arginare il fenomeno delle milizie sciite che stanno collaborando con quelle iraniane, e tentare di riassorbirle, sono compiti estremamente complessi. Altrettanto, forse ancor di più, è il contenzioso da tempo in corso sulle vendite di greggio con il governo della regione semi autonoma del Kurdistan iracheno (Krg). Forti dei loro successi militari, le autorità curde puntano a esportare per proprio contro il greggio estratto nel loro territorio. Petrolio che tuttavia Baghdad ha sempre considerato risorsa nazionale la cui gestione deve passare dal governo centrale, il quale poi ripartisce le rendite alle varie province. L'anelata, e in questo periodo mai così vicina indipendenza, a cui punta il Kurdistan iracheno resta un'altra questione delicatissima.
Un contenzioso non da poco, a cui si aggiunge lo status di Kirkuk, la città contesa, ricca di giacimenti petroliferi, che i curdi hanno occupato per impedire che fosse presa dai jihadisti dello stato Islamico.

Nonostante le evidenti difficoltà, il segretario di Stato americano John Kerry vuole essere ottimista: il nuovo Governo – ha dichiarato al premier al Abadi - "ha le potenzialità per unite tutte le diverse comunità irachene". In questa settimana Kerry viaggerà in Giordania e Arabia Saudita nel tentativo di costruire una coalizione internazionale per combattere l'Isis.
Ma a nulla varranno i suoi sforzi se la comunità sunnita non si convincerà che questo nuovo Governo soddisfa anche le sue richieste. L'ultima parola, anche nella guerra contro l'Isis, spetta proprio ai sunniti iracheni.

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