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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2014 alle ore 05:59.
L'ultima modifica è del 19 settembre 2014 alle ore 20:10.

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(Afp)(Afp)

EDIMBURGO – Alle 7.06 l'aritmetica prende il posto al sospetto, la Scozia vota No con un margine che finirà per essere di 10 punti: 55% contrari all'indipendenza 45% favorevoli. A dare il colpo finale ai sogni secessionisti è il collegio di Fife che garantisce i numeri sufficienti per varcare la soglia di non ritorno. Il pericolo di una dissoluzione del Regno Unito e di un lampo indipendentista capace di proiettarsi molto oltre i confini britannici si dissolve al termine di una notte che ha suggerito quel risultato fin dalle primissime indicazioni.

A rompere le incertezze per primo è stato Peter Kellner, fondatore dell'istituto di statistica YouGov, quello stesso che suonò l'allarme dieci giorni fa segnalando per la prima volta la maggioranza del Sì alla secessione. Pochi minuti dopo la chiusura dei seggi chiusi YouGov aveva dato con "99% di margine" la vittoria del No: 56% contro il 44%. Previsioni quasi azzeccata anche se lo spoglio non è stato una corsa a braccia alzate verso la vittoria. Il Paese è profondamente diviso con le due città piu grandi, Edimburgo e Glasgow sui fronti opposti: la capitale per il No, la metropoli di Scozia, per il Si.

La sconfitta del «sì» ha immediate ripercussioni sulla leadeership del fronte indipendentista. Alex Salmond ha annunciato che si dimetterà dalla carica di leader della Scozia a novembre, quando lo Scottish National Party sceglierà un nuovo «first minister». «Accetto la parola delle urne e invito gli scozzesi tutti ad accogliere un verdetto democratico - aveva dichiarato Salmond dopo il voto - Il 55% ha votato per il No, ma il 45% ha votato per il Si e questa è una quota sufficiente per una futura indipendenza». «Al termine della campagna - ha aggiunto - è stata promessa una tabella di marcia verso nuove forme di autonomia per la Scozia. Ora ci aspettiamo che i partiti unionisti tengano fede a quanto promesso. E questo se lo attendono non solo il 45% di scozzesi che ha votato sì, ma tutti i cittadini di questa nazione che si sono mobilitati in massa con un'affluenza che ha superato l'86%, un record storico». La risposta del premier David Cameron è arrivata a strettissimo giro. Ed è stata la conferma di tutti gli impegni presi dopo aver reso l'onore delle armi all'avversario. «A chi ha votato sì all'indipendenza diciamo: il resto del Regno Unito vi ha sentito. Ci siamo impegnati a garantire nuove forme di autonomia e lo faremo. A novembre le norme saranno definite ed entro gennaio saranno approvate».

Per la Scozia ma non solo. Il premier ha promesso che la parola autonomia, risuonerà in Galles, Irlanda del nord ma non solo. «La devolution ora deve divenire elemento anche della vita dell'Inghilterra». Un commissario governativo seguirà il processo di decentramento in accordo con gli altri partiti del Paese, Labour e LibDem. La risposta da Galles e Ulster non s'è fatta attendere. I capi dei governi locali hanno salutato la permanenza di Edimburgo nell'Unione e hanno annunciato immediate consultazioni per dare il via al processo di nuova autonomia. Parteciperà anche l'Inghilterra che da anni lamenta i "favori" dati alle altre nazioni a cominciare dal generoso welfare che culla gli scozzesi. Lo Stato spende fra il 20 e il 30% in più pro capite per ogni scotoman di quanto spenda per ogni altro cittadino del Regno. Per David Cameron che esce indebolito da una vittoria guadagnata grazie alla mobilitazione laburista e nonostante scelte politiche azzardate da lui promosse, il cammino verso la trasformazione di un Paese altamente centralizzato è solo al via.

Il messaggio della regina
Dopo le discussioni e i dibattiti nel referendum scozzese ''ora andiamo avanti''. E' quanto afferma la regina Elisabetta II in una nota personale inviata dalla residenza di Balmoral in Scozia. Nonostante la differenza di opinioni ''abbiamo in comune un amore duraturo per la Scozia, che è una delle cose che aiuta a tenerci uniti''.

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