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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 13:49.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2014 alle ore 13:54.

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Pierluigi Bersani (Ansa)Pierluigi Bersani (Ansa)

Mi rendo conto. E infatti io credo che le aziende vadano anche incentivate su questo fronte rendendo il contratto a tempo indeterminato meno oneroso, attraverso sgravi fiscali. Ma soprattutto qui viene il secondo punto della mia proposta. Quella relativa agli ammortizzatori sociali. Va detta la verità agli italiani. È ovvio che bisogna andare verso un sistema universalistico, ma dobbiamo fare un lavoro progressivo, perché i costi non sono sostenibili nell'immediato.

Al di là delle risorse c'è da far funzionare il sistema delle politiche attive per ricollocare le persone al lavoro. Oggi in Italia non funzionano...
Ecco, fare una riforma seria significa fare in modo che quel sistema funzioni. Io credo abbia ragione Carlo Dell'Aringa: in un'organizzazione statuale chi deve fare le politiche attive deve essere lo stesso soggetto che eroga i sussidi. Da noi invece l'Inps fa la seconda cosa, le Regioni la prima. Non funziona. Che interesse hanno le Regioni a portare il lavoratore verso un nuovo posto di lavoro se l'uscita dal sussidio non le riguarda, se l'ente che paga il sussidio è un altro? Vanno unificate le agenzie, altrimenti non va.

C'è un altro tema di cui si discute poco ma che è cruciale: la contrattazione aziendale. Mario Draghi nel suo discorso a Jackson Hole lo ha citato come uno dei punti di forza del sistema tedesco. Anche questa è flessibilità.
Ed è quella che forse conta di più, la flessibilità in azienda. Questo è il vero punto che ci differenzia da Germania e Spagna. In Germania decentrano di più perché hanno un particolare rapporto di lavoro: i temi organizzativi, le mansioni, la contrattazione salariale, la solidarietà nei momenti di crisi vengono gestiti a livello aziendale perché lì c'è la cogestione.

La cogestione non c'entra nulla con il modello italiano di impresa.
Non dico che bisogna arrivare lì. Ma introduciamo elementi di partecipazione del lavoratore e in virtù di questo decentriamo le decisioni contrattuali. Se inseguiamo la produttività, questa è la sfida. Va introdotto un nuovo equilibrio tra capitale e lavoro.

Non pensa anche lei che da parte della Cgil ci siano state in questi anni posizioni arcaiche e conservatrici? Renzi ha usato parole molto dure, ma nel merito è difficile dargli torto...
C'è la tendenza, da parte del premier, a crearsi bersagli di comodo. Ora è la Cgil. Ma un partito di governo deve pensare all'Italia. Quando sento parole insultanti penso che stiamo perdendo l'oggetto del riformismo di governo: che è trovare soluzioni pragmatiche ai grandi problemi che abbiamo davanti. E quello più grande è appunto il lavoro.

Il Pd rischia di spaccarsi in modo irriversibile su questo punto? O è possibile una mediazione nella direzione convocata per fine mese?
Io ho sempre detto che lavoro per la ditta. Ma la ditta è il luogo dove si elabora e si propone. Non è un luogo che si convoca per dare schiaffoni a cose fatte. Si deve discutere prima, non si può arrivare in direzione con un prendere o lasciare.

Se sarà così, cosa succederà in Parlamento? Una parte del Pd potrebbe votare contro la proposta del Governo?
Così come c'è stata libertà di voto sul Senato, credo che ci sia anche su un tema delicato come il lavoro. Ma io sono fiducioso che al di là delle asprezze, si trovi un punto di convergenza ed equilibrio.

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