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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 12:45.
L'ultima modifica è del 01 ottobre 2014 alle ore 14:52.

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La deflazione è il calo generalizzato dei prezzi al consumo. In generale è il sintomo, e allo stesso tempo, la causa di una situazione economica negativa. È il sintomo in quanto, al di là del caso di scuola di un’abbondanza d’offerta, consegue dal calo della domanda di consumi. Cioè: le famiglie, le persone spendono di meno e inducono, per l’appunto, la contrazione dei prezzi.

È la causa perchè le stesse famiglie, nel momento in cui percepiscono il calo dei prezzi, sperano di potere acquistare a costi ancora più bassi. Vale a dire: rinviano gli acquisti. Così facendo i prezzi scendono ulteriormente, dando vita ad un circolo vizioso difficile da arrestare.

Ebbene: in un simile contesto un Paese, uno Stato è in condizioni negative. Quindi, tenta di sfuggire alla morsa della deflazione. Tuttavia, ci sono delle eccezioni. O meglio: ci sono governi che, seppure non ancora concretamente immersi nella spirale deflattiva, paiono non spaventarsi del fenomeno. Tra questi: la Germania.

Il Governo di Angela Merkel, sacerdote dell’austerity nel Vecchio continente, non è impaurito dai molti segnali sul rallentamento della dinamica dei prezzi nell’Eurozona. E viene da chiedersi: perché?

Le risposte sono molteplici. «Non bisogna dimenticare- sottolinea ad esempio Angelo Drusiani, di Albertini Syz - che i tedeschi ricordano ancora adesso l’iper-inflazione della Repubblica di Weimar. È una sorta di retaggio storico-psicologico difficile da sdradicare».

Inoltre, proprio perchè non ancora toccati direttamente dal fenomeno i tedeschi non percepiscono i potenziali rischi. La loro economia va ancora, più o meno, bene. Quindi, in un misto di autosufficienza e visione corta (miopia), si domandano: perchè cambiare?

Al di là delle considerazioni socio-economiche c’è, però, chi sottolinea un altro aspetto. «Larga parte del debito pubblico di Berlino - afferma Antonio Tognoli, vicepresidente di Integrae Sim - è in mano alle famiglie, alle imprese e alle banche tedesche. Ebbene, allo stato attuale i rendimenti dei titoli di Stato sono praticamente nulli». Il tasso del Bund decennale, ad esempio, viaggia intorno allo 0,95%. «In termini reali, a fronte di un’inflazione intorno allo 0,8%, si tratta di un rendimento inesistente». O, addirittura negativo, sulle scadenze più brevi.

I tedeschi, evidentemente, accettano la situazione da un lato perché «sono consapevoli che il Bund è il “bene rifugio”. L’asset sicuro che, giusto o sbagliato, non offre alcun pensiero rispetto alla sua sua solidità».

E, dall’altro, accettano rendimenti cosi bassi «perché, dopo aver comprato i titoli intorno alla parità, vedono le loro quotazioni rimanere stabili».

Cosa potrebbe succedere, invece, se ad un tratto il prezzo del decennale scendesse? Il disappunto sarebbe molto forte. Ebbene, è proprio quello che può accadere a fronte del rialzo dei prezzi al consumo. «Di fronte alla ripresa dei prezzi - ricorda Tognoli - il mercato chiede sempre maggiore rendimento. Nei collocamenti il saggio medio lordo non potrebbe essere così schiacciato come quello di oggi», al di sotto dell’1%. «Il rialzo dello yield, giocoforza, portebbe con sé la riduzione dei prezzi dei titoli di Stato»

Cioè, le quotazioni del bund scenderebbero. Ecco che, allora, il risparmiatore tedesco dovrebbe affrontare una situazione sgradevole. Certo, potrebbe mantenere il titolo e portarlo a scadenza. «Tuttavia, l’impatto politico di questa situazione sarebbe importante. La considerazione popolare sarebbe questa: tu, Angela Merkel, hai voluto l’austerity. Ci sta bene. Noi tedeschi ne traiamo beneficio. E tuttavia, tra gli altri suoi effetti, comporta, seppure indirettamente, rendimenti nulli sui titoli di Stato. Come la mettiamo, allora, con il calo delle quotazioni, e le perdite in conto capitale, conseguenti alla ripresa dell’inflazione?».

La situazione, insomma, sarebbe difficile da gestire per il governo tedesco. Il quale, anche per questo motivo, non vuole preoccuparsi troppo dei rischi da deflazione. Almeno per ora...

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