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Questo articolo è stato pubblicato il 14 ottobre 2014 alle ore 12:47.
L'ultima modifica è del 14 ottobre 2014 alle ore 12:56.

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«Buscar el Levante por el Ponente»: era questa l'intenzione di Cristoforo Colombo quando salpò con le sue tre caravelle per arrivare in quell'Oriente favoloso, le cui ricchezze avevano solleticato la curiosità, sua e degli europei, da quando quel bestseller del 1295 o su di lì - il "Milione" di Marco Polo - aveva descritto il leggendario Kathai, e gli sterminati possedimenti del Gran Khan.
Marco Polo, insomma, pioniere della globalizzazione? Sì: la forza più potente dell'economia è lo scambio, l'opportunità di scambiare beni con altri beni, così da rendere possibile l'innalzamento del tenore di vita (si possono comprare le cose là dove costano meno) e il miglioramento delle tecniche di produzione (andando a scoprire quelle più efficienti). Ma per scambiare bisogna conoscere i luoghi, viaggiare, scoprire, tracciare rotte e cammini.

Il cammino di Marco Polo aprì la strada fra Europa e Asia. La prima molla dell'esplorazione è la curiosità, intesa nel senso più nobile (quando si chiese a Sir Edmund Hillary perché aveva deciso di scalare l'Everest, rispose "Perché è lì"). Ma una volta tracciato il cammino, gli scambi fluiscono come l'acqua in un canale appena scavato, e per quella 'Via della Seta' gli scambi sono andati fluendo per millenni, fino a oggi.
La globalizzazione non è un fenomeno nuovo. «Il mondo è una città» disse (nel 1875!) Carl Meyer von Rothschild. E qualche decennio più in là, John Maynard Keynes, nel libro "Conseguenze economiche della pace" (1919), avrebbe ricordato con nostalgia il bel tempo andato: «...quello straordinario episodio nel progresso dell'uomo che venne a finire con il 1914... L'abitante di Londra - scrive Keynes - poteva ordinare per telefono, sorseggiando a letto il tè della mattina, qualsiasi prodotto del globo intero, in qualsiasi quantità desiderasse, e confidare in una consegna ragionevolmente sollecita, sull'uscio della propria casa; poteva con gli stessi mezzi e negli stessi tempi investire i propri soldi nelle risorse naturali e nelle nuove intraprese in ogni angolo del mondo, e condividerne senza sforzi o disturbi gli eventuali frutti; oppure poteva decidere di legare la sua fortuna a quella dei titoli emessi da Stati o municipalità in ogni continente... Poteva avventurarsi all'estero, usando trasporti non cari e confortevoli, verso qualsiasi Paese e qualsiasi clima, senza passaporti o altre formalità».
Dieci anni dopo, nel 1929, la "globalizzazione" conobbe la tristezza della crisi. Prima fu "globale" il contagio dell'implosione di Wall Street del 1929, poi i Paesi si chiusero a riccio, aggravando la Grande Depressione degli anni Trenta con la spirale viziosa del protezionismo. La globalizzazione del tardo XX secolo, che riprende le spinte del primo Novecento, è essenzialmente il portato di due grandi tendenze: una sempre maggiore libertà degli scambi e la rivoluzione tecnologica, che annulla le distanze con i prodigi della telematica.

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