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Questo articolo è stato pubblicato il 01 ottobre 2014 alle ore 19:10.
L'ultima modifica è del 03 ottobre 2014 alle ore 13:26.

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(LaPresse)(LaPresse)

Yang Jianli, presidente di Initiative for China, Teng Biao, avvocato per i diritti umani, Hu Jia, vincitore del premio Sakharov, hanno in comune una cosa: sono tutti ex detenuti politici del regime cinese. Nella pagina dei commenti del Wall Street Journal ieri avvertivano: «Preparatevi a un altro massacro, sarà come Tiananmen». Un altro storico perseguitato, il Dalai Lama, leader spirituale dei tibetani, in esilio in India dal 1959, segue da vicino la Rivolta degli Ombrelli, e dice che l’esito del braccio di ferro è «molto, molto difficile» da prevedere.

C’è invece chi pensa che le autorità di Hong Kong, istruite da Pechino, cercheranno di sgonfiare la protesta da dentro, spingendo una parte di popolazione a “disperdere” gli studenti e sciogliere così il dissenso in modo indolore.

Sembra questa la prima opzione, anche dopo che il capo del governo locale Leung Chun- ying, ha dichiarato oggi pomeriggio ora italiana di non volersi dimettere. Durante la conferenza stampa convocata poco prima dello scadere dell'ultimatum lanciato dai leader della protesta, Leung ha detto che è pronto a dialogare con i manifestanti, ma che qualsiasi tentativo di occupare gli edifici governativi verrà fermato dalla polizia.

La tensione resta alta, nelle strade regione autonoma ed ex colonia britannica - un Paese, due sistemi, formula ideata da Deng Xiaoping per Taiwan poi usata per Hong Kong e Macao - anche se la strategia tentata nelle ultime ore è spingere i manifestanti a «disperdersi pacificamente, il più presto possibile». I poliziotti in effetti si sono finora limitati a scaricare sulla folla proiettili di gomma.

Le forze dell'ordine si sono oggi ritrovati faccia a faccia con i manifestanti di Occupy Central lungo la Tim Wa Avenue, divisi solo dalle transenne. Il confronto avviene a poche decine di metri dagli ingressi dell'ufficio del capo dell'esecutivo locale, il chief executive Leung, di cui il movimento chiedeva le dimissioni entro la mezzanotte di oggi (le 18 in Italia) altrimenti sarebbe iniziata l'occupazione degli uffici governativi. Cheung non è venuto incontro alle richieste della folla.

Il confronto a distanza ravvicinata continua da ore, scandito dagli slogan e dai cori di Occupy Central, e sorvegliato, a tratti, dalla presenza di droni sopra l'area. La polizia non ha escluso, negli ultimi minuti il ricorso a «un uso appropriato della forza», secondo quanto riportato da un sovrintendente di pubblica sicurezza, compreso l'impiego di lacrimogeni contro i manifestanti, come accaduto domenica scorsa.

I leader degli studenti che hanno circondato gli edifici governativi sostengono di aver aperto un dialogo per risolvere i moti di piazza che hanno paralizzato la maggior parte della città questa settimana. Se Carrie Lam, numero due delle autorità, vuole aprire negoziati «noi accetteremo» afferma Yvonne Leung, leader della Hong Kong Federation of Students che organizza i sit-in.

Sono ore decisive: i manifestanti, soprattutto studenti, aumentano e continuano a bloccare gli accessi all'ufficio del capo dell'esecutivo. La polizia finora ha solo avvertito del rischio di «serie conseguenze» se vi sarà un tentativo di fare irruzione negli uffici. Le due parti dicono di volere tenere aperto il canale del dialogo ma la federazione degli studenti non retrocede dalla richiesta per le autorità irricevibile: un cambiamento politico. Che vuol dire elezioni libere nel 2017, ovvero scegliere davvero i propri rappresentanti non quelli della rosa scelta dalle autorità e sottoposti a conferma popolare.

Interviene con una nota anche l'Unione europea che tramite il servizio diplomatico chiede alle parti di dare «continuare a dar prova di calma», dopo l'avvertimento di disperdersi lanciato dalle autorità ai manifestanti. «Noi siamo preoccupati per gli avvenimenti a Hong Kong» e «esortiamo tutte le parti a continuare a mostrare la medesima calma» di quella riscontrata finora.

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