Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 02 ottobre 2014 alle ore 08:03.
L'ultima modifica è del 02 ottobre 2014 alle ore 10:56.

Il dibattito europeo negli ultimi mesi è incentrato sulla flessibilità in cambio di riforme strutturali. Ovvero, la Commissione europea è disposta a chiudere un occhio sull’applicazione dei rigidi paletti di Maastricht pensati 20 anni fa così come sugli aggiornamenti ancor più rigidi (si veda il Fiscal compact o patto di stabilità) in cambio di riforme che ripensino gli schemi di welfare e lavoro, adeguandoli ai tempi della globalizzazione.
Così in Italia si parla di Jobs Act, di Tfr in busta paga e altre manovre nella direzione di aumentare la competitività del Paese che nel 2014 è tornato, in ogni caso, ad essere il secondo esportatore dell’area euro (dopo Germania e prima di Spagna e Francia).
L’Italia deve recuperare competitività in particolare rispetto alla Germania che mentre complessivamente sta accusando un momento di difficoltà (stagnazione del secondo trimestre) sul fronte dell’export continua a sfornare cifre record (avendo superato la Cina con un surplus di oltre 200 miliardi di euro su base annua).
Non bisogna però dimenticare che una buona parte della maggiore competitività tedesca deriva dal fatto che nei primi 15 anni di Eurozona ha generato un’inflazione nettamente inferiore rispetto a quella degli altri Paesi che utilizzano la stessa valuta, attuando una svalutazione del cambio reale attraverso una politica di bassi aumenti salariali reali, tanto da essere accusata anche dal vicino Belgio senza mezze misure di aver adottato politiche di dumping salariale.
La Germania - che vanta crediti nel sistema Target 2 per 460 miliardi a fronte di debiti dell’Italia pari 161 e 213 della Spagna - chiede ai Paesi della periferia dell’Eurozona di fare i compitini a casa, ovvero di generare meno inflazione della Germania stessa, adottando politiche di austerità (anche in tempi di crisi).
«Il problema è che è tecnicamente impossibile aumentare competitività e crescere allo stesso tempo per Paesi come l’Italia se la Germania continua ad avere un’inflazione estremamente bassa, inferiore all’1% (0,8% a settembre, ndr) - spiega Sergio De Nardis, capo economista dell’istituto Nomisma, fondato da Romano Prodi -. Se la Germania non genera più inflazione costringe l’Italia ad affrontare un percorso di recupero di competitività, ma solo con la prospettiva della deflazione. E non ci sono casi nella storia economica in cui un Paese possa crescere in deflazione. Tanto più un Paese con un alto debito/Pil come l’Italia, ancor più penalizzato di altri in un regime di decrescita dei prezzi (perché aumenta il costo reale del debito, ndr). Per questo motivo l’Italia potrà adottare nei prossimi mesi tutte le riforme che le si chiedono ma i nodi resteranno al pettine se dall’altro lato la Germania non alzerà il tasso di inflazione, permettendo agli altri Paesi di recuperare competitività ma allo stesso tempo di crescere».
©RIPRODUZIONE RISERVATA








