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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2014 alle ore 07:30.
L'ultima modifica è del 07 ottobre 2014 alle ore 11:35.

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Questa mattina il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, presenterà alle associazioni datoriali e ai sindacati un'ipotesi di superamento del Tfr con passaggio su base volontaria della liquidazione nella busta paga dei lavoratori che non avrebbe impatto sui bilanci delle aziende. Ieri Renzi ha nuovamente affrontato il dossier con il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, mentre è stato smentito un suo incontro a palazzo Chigi anche con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti.

L'intervento messo a punto e già formalizzato in un primo articolato da inserire nella legge di Stabilità è quello già anticipato da questo giornale e che prevede un coinvolgimento del sistema bancario (forse anche della Cassa depositi e prestiti). Uno schema che ha diversi autori tra cui l'esperto di politiche economiche e del lavoro, Stefano Patriarca, che ne ha recentemente scritto sul sito www.lavoce.info.

In pratica la quota di liquidazione lorda maturata annualmente verrebbe trasferita (totalmente o al 50%) in busta paga in soluzione unica, per i lavoratori che scelgono questa soluzione, tramite un credito bancario. Le imprese continuerebbero ad accantonare il Tfr come attualmente previsto (in bilancio, versandolo all'Inps o a un fondo di previdenza a seconda della dimensione o delle scelte già fatte dai propri dipendenti) e pagherebbero l'importo della liquidazione al momento della chiusura del rapporto di lavoro non più al dipendente, che lo ha già incassato, ma alla banca (o al fondo bancario) che ha anticipato la liquidità. In altre parole non verrebbe toccato l'articolo 2120 del Codice civile che "intesta" alle imprese il debito legato all'accantonamento di questo "salario differito" dei dipendenti. Semplicemente cambierebbe il creditore finale: non più il lavoratore ma le banche.

La «base volontaria» dell'intera operazione ieri ha fatto scattare un primo via libera del leader dell'Ncd, Angelino Alfano. Mentre il viceministro dell'Economia, Enrico Morando, ha affermato che «se faremo l'intervento sul Tfr non provocherà nessuna riduzione della liquidità delle aziende e dal Tfr dei lavoratori non sarà prelevato un euro in più di quello che viene prelevato oggi». Il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha invece osservato: «Non vorrei che l'opzione Tfr servisse solo per la casse dello Stato per incamerare 5 miliardi. Se il Governo ha a cuore i lavoratori faccia una operazione a tasse zero».

Ecco come funzionerebbe il meccanismo: le aziende fino a 50 dipendenti continuerebbero ad accantonare il Tfr con la rivalutazione prevista dalla legge (l'1,5% più lo 0,75% dell'inflazione) per tutti i dipendenti che non hanno optato per i fondi pensione. E a quel costo lo pagherebbero alle banche al momento di cessazione del rapporto di lavoro. Per gli istituti di credito (da soli o con la Cdp) il prestito sarebbe "risk free" poiché, in caso d'insolvenza del datore di lavoro, potrebbero ricorrere allo storico "fondo assicurativo" Inps alimentato con un contributo dello 0,2% a carico dei datori. La stessa logica si applicherebbe per le aziende con più di 50 dipendenti che già versano il Tfr al fondo di tesoreria gestito dall'Inps: l'anticipo bancario nulla muterebbe sui flussi imprese-Inps e le banche incasserebbero la liquidazione maturata, a fine rapporto di lavoro, dall'Inps.

L'ipotesi di mettere il Tfr in busta paga in soluzione unica (per esempio il mese di febbraio) garantirebbe anche il mantenimento della fiscalità separata: «L'attuale aliquota Irpef sul Tfr (o sugli anticipi previsti) è legata alla media degli ultimi cinque anni, in media oggi stimabile attorno al 23%» spiega Patriarca nel suo testo.

Mettere nelle buste paga il Tfr significa per i lavoratori un maggior reddito pari a circa 40 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 50%), circa 62 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 75%) e circa 82 euro al mese (in caso di Tfr erogato al 100%) ha calcolato la Fondazione studi dei consulenti del lavoro. Che in una nota diffusa ieri confermano le loro riserve su un'operazione che «creerebbe un danno al sistema pensionistico direttamente proporzionale al numero degli anni per cui viene percepito l'anticipo» e che viene percepita come rischiosa dalle microimprese.

Ieri Confcommercio ha confermato la sua contrarietà all'operazione Tfr. Secondo l'istituto di sondaggi Ipr marketing, l'ipotesi di inserire in busta paga il 50% del Tfr, la visione è speculare a seconda se a rispondere sono dipendenti o imprenditori: se infatti tra i dipendenti i favorevoli salgono al 55%, tra le imprese i contrari salgono fino a due su tre (66%).

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