Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 08 ottobre 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 10 ottobre 2014 alle ore 07:34.

My24

Le macerie di Kobane sono pietre che rotolano da una collina verso i palazzi di un potere internazionale rimasto silenzioso e inerte davanti alla tragedia. «Kobane è la vittima sacrificale della politica del "divide et impera" attuata dalla Turchia nei confronti dei curdi». È il secco commento di un giornalista che da Suruc osservava sventolare la bandiera nera del Califfato, a meno di un chilometro di distanza dal secondo più potente esercito della Nato che qui schiera carri Patton e 10mila uomini. Ieri erano ancora immobili come soldatini di piombo.

Kobane è sul punto di cadere nelle mani dei jihadisti, ha constatato il presidente turco Erdogan: «I raid non bastano, serve un intervento di terra ma la comunità internazionale deve cambiare strategia». I curdi sull'aiuto di Erdogan non si fanno illusioni: «L'unico amico dei curdi sono le montagne», ripetono con insistenza. La Turchia avrebbe potuto già intervenire dopo la mozione votata dal Parlamento ma lo farà soltanto alle sue condizioni.
Nella morsa dei jihadisti, tra colonne di fumo nero e battaglie combattute strada per strada, Kobane è ostaggio della geopolitica mediorientale nel mezzo di una pianura vasta, intervallata da modeste colline e disseminata dai ricordi amari di guerre decennali, antagonismi e pregiudizi. Anche i raid della coalizione, improvvisamente intensificati, appaiono tardivi e non salvano la città.

Nel preambolo della mozione votata la scorsa settimana dal Parlamento per l'intervento militare in Siria e Iraq - che concede anche il passaggio a truppe straniere - si afferma che la minaccia per la Turchia è costituita dal Pkk e da «altri gruppi terroristici»: lo Stato Islamico non viene neppure menzionato esplicitamente.

Perché la coalizione internazionale non funziona? È semplice: non esiste nessuna «ampia coalizione internazionale», come ha tentato di vendere il presidente americano Obama. Gli interessi sono divergenti. Questa è la lezione che viene da Kobane: le reponsabilità non sono soltanto turche ma anche americane e occidentali.

Due sono gli obiettivi della Turchia resi espliciti da Erdogan e dal premier Ahmet Davutoglu. Il primo è la rimozione dal potere di Bashar Assad, un target sul quale il governo islamico dell'Akp ha investito risorse e prestigio: lo scopo è estendere l'influenza e la "profondità strategica" di Ankara al mondo sunnita del Levante. Per questo Davutoglu ha chiesto una "no fly zone" agli Usa e la creazione di una zona cuscinetto: di questo i turchi discuteranno domani con l'inviato di Obama, l'ex generale Joe Allen e l'ambasciatore Brett McGurk del dipartimento di Stato.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi