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Questo articolo è stato pubblicato il 17 ottobre 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 17 ottobre 2014 alle ore 10:50.

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Il presidente del collegio d'Appello che ha assolto Berlusconi nel cosiddetto processo
Ruby, Enrico Tranfa, si è dimesso subito dopo aver firmato le motivazioni della sentenza. Lo ha fatto in dissenso con la sentenza presa a maggioranza con il sì degli altri due giudici. Tranfa, 70 anni, in magistratura dal 1975, dal 2012 fino a ieri ha presieduto la seconda sezione penale in Corte d'Appello a Milano.

Non ci furono costrizioni né minacce da parte di Silvio Berlusconi per ottenere il rilascio di Karima-Ruby El Marhoug dagli uffici della questura di Milano la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010. E anche se è certo che l'ex presidente del Consiglio ebbe rapporti sessuali a pagamento con Ruby nella sua casa di Arcore, non ci sono prove che fosse al corrente della minore età della giovane marocchina.

Nelle motivazioni della sentenza che lo scorso 18 luglio ha assolto Berlusconi dall'accusa di concussione e di prostituzione minorile, cancellando la condanna a sette anni in primo grado, i giudici della seconda sezione penale della Corte d'Appello di Milano sgomberano il campo dalle polemiche sul presunto ruolo avuto dalla legge Severino nella decisione. La legge ha riformato nel 2012 il reato di concussione suddividendolo in due tipologie: concussione per costrizione e induzione indebita a dare o promettere utilità. E ora i giudici della Corte d'Appello mettono (per il momento) la parola fine alle polemiche spiegando a pagina 248 delle motivazioni che, «in ordine al delitto di concussione... non vi è prova della ascrivibilità a Silvio Berlusconi di una intimidazione costrittiva» nei confronti del capo di gabinetto della questura, Pietro Ostuni.

Per argomentare la decisione, i giudici citano la sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione del 24 ottobre 2013, la cosiddetta sentenza Maldera, che afferma il principio della necessità di «violenza» o «minaccia esplicita e implicita» per il reato di concussione per costrizione, e di «condotta di persuasione, di suggestione, di inganno» per qualificare il reato di induzione. In quest'ultimo caso, inoltre, il concusso deve essere motivato «dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale». Ma per la Corte d'Appello di Milano nessuno di questi elementi è entrato in gioco con la telefonata di Berlusconi al funzionario della questura.

«Ora - scrivono i giudici - è sicuramente accertato» che la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 Silvio Berlusconi «abusò della sua qualità di presidente del Consiglio dei ministri, simulando un interesse istituzionale al rilascio di Karima El Marhoug», tuttavia «l'abuso della qualità è condizione necessaria, ma non sufficiente a integrare il reato, richiedendo la norma incriminatrice che esso si traduca in una vera e propria costrizione». Il che, aggiungono alcune pagine dopo, «riporta esattamente al punto di partenza: la necessità di individuare la condotta positiva intimidatrice, l'atto umano in cui - nel caso di specie - fosse esteriormente leggibile la minaccia di danno ingiusto a carico di Ostuni». Secondo i giudici, Ostuni intervenne sui suoi sottoposti per accelerare il rilascio di Ruby «per timore reverenziale», «debolezza», «desiderio di non sfigurare», «timore autoindotto» ma senza nessuna «minaccia prevaricatrice».

Quanto all'accusa di prostituzione minorile, i giudici affermano senza alcuna esitazione che è provato che Ruby si prostituisse e che nelle serata di Arcore si effettuassero prestazioni sessuali a pagamento, «esibizioni licenziose» e «toccamenti lascivi» cui anche Berlusconi partecipava. Ma l'ex premier non era a conoscenza del fatto che Ruby fosse minorenne, perché questa è una circostanza - affermano - «non assistita da adeguato supporto probatorio». Sicuramente Berlusconi apprese la vera età della ragazza al più tardi la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 e il timore che i suoi rapporti con Ruby diventassero di dominio pubblico furono il movente che lo spinse a intervenire sulla questura.

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