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Questo articolo è stato pubblicato il 22 ottobre 2014 alle ore 10:06.
L'ultima modifica è del 22 ottobre 2014 alle ore 21:19.

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(LaPresse)(LaPresse)

di Manuela Perrone

In Europa finisce un’epoca, quella della presidenza Barroso, e se ne apre un’altra, quella che vede al timone la nuova commissione presieduta da Jean-Claude Juncker che ha ricevuto la fiducia degli eurodeputati. Matteo Renzi ha riferito stamattina in Senato e nel pomeriggio alla Camera (con l’intermezzo di un pranzo al Quirinale con Giorgio Napolitano) sul Consiglio europeo in programma domani e dopodomani a Bruxelles, l’ultimo della «stagione precedente» targata Barroso, appunto. E, augurando buon lavoro al nuovo esecutivo Ue, non ha perso l’occasione di sottolineare che la «grande vittoria di questi mesi è stato aver proposto un piano di investimenti da 300 miliardi di euro, primo segno di attenzione della nostra realtà istituzionale europea non solo al rigore e all’austerità ma anche alla crescita». Una scommessa di cui, ha assicurato il premier mentre l’Italia aspetta per oggi la lettera di Bruxelles sulla manovra, «saremo attenti e gelosi custodi». Il vertice di domani, dunque, rappresenta un «passaggio davvero rilevante» perché «l’Europa adesso volta pagina nella guida delle sue istituzioni». E, con le poltrone, possono cambiare anche le politiche «cercando di fare sempre di più una Europa dei popoli e non una Europa della tecnocrazia».

Crescita, tema non più rinviabile
Renzi ha riservato gran parte della sua comunicazione alle Camere al tema che più gli sta a cuore: la crescita. Anche se le questioni di politica economica al Consiglio «resteranno sullo sfondo». Ma venerdì mattina si terrà il vertice dell’eurogruppo dei Paesi della zona euro. E la crescita è «il classico argomento che ha bisogno di vedere le nuove istituzioni europee pienamente al lavoro» perché il clima della comunità economica internazionale sta rapidamente cambiando. Renzi ha citato il prossimo G20 di Brisbane, in Australia, che avrà al centro la crescita e gli obiettivi concreti per favorirla. Ha descritto il nuovo atteggiamento del Fondo monetario internazionale, ironizzando: «Non un’assemblea di proletari di sinistra che vuole la rivoluzione socialista». Irrinunciabile, dunque, una discussione su come l’Europa vuole uscire «dai margini dello stretto rigore» e cambiare marcia. Un problema dell’intera area euro, «cenerentola dello sviluppo mondiale».

Alt alla subalternità culturale all’Europa
Il premier non ha rinunciato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa su quello che sta succedendo nelle ultime ore sulla legge di Stabilità 2015. «Insisto - ha detto - nel tentativo di stimolare la comunità italiana, gli editorialisti e i cittadini a fare uno scatto di qualità: noi vivamo una subalternità culturale nei confronti dell’Europa. Basta mezza dichiarazione del portavoce del commissario (il riferimento è alle frasi del portavoce di Katainen riportate ieri, ndr) per avere titoloni sui giornali: “L’Europa minaccia”. Il fatto è che siamo abituati a considerarla altro da noi. E tutto ciò che arriva è letto come elemento ostativo e ostile».

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