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Questo articolo è stato pubblicato il 27 ottobre 2014 alle ore 12:48.
L'ultima modifica è del 27 ottobre 2014 alle ore 15:05.

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I preparativi per le elezioni in un seggio di Tunisi (Afp)I preparativi per le elezioni in un seggio di Tunisi (Afp)

La politica populista di Ennhada , dunque, non ha pagato. E ancora di meno quell'atteggiamento troppo indulgente nei confronti dei movimenti salafiti jihadisti tunisini che si sono rafforzati negli ultimi due anni. Davanti alla minaccia del terrorismo, e ai 3mila salafiti tunisini che sono andati in Siria per unirsi all'Isis, la popolazione ha prima reagito con paura e poi si è unita.

Le parole di Madi, banchiere, 39 anni, in fila nel seggio di Mituelville, riflettevano il pensiero di buona parte della Tunisia laica. «Non ho per nulla fiducia in Ennahda , perché se i salafiti si sono rafforzati è grazie alla loro politica. Anziché emarginarli, li hanno giustificati».

Di certo finora ci sono i dati sull'affluenza: circa il 61 per cento. Un buon risultato (anche perché gli elettori registrati questa volta erano molti di più) , ma non entusiasmante, considerando che nelle passate elezioni el2011, le prime dopo la rivoluzione, il 90% degli venti diritto era andato alle urne. Il voto , comunque, si è svolto in un'atmosfera rilassata, e apparentemente in modo trasparente anche se l'Ong di monitoraggio elettorale Atide, che stasera diffonderà un rapporto, ha rilevato irregolarità diffuse in tutto il paese e infiltrazioni politiche nei seggi.

Qualunque sarà il responso delle urne, la Tunisia, ancora una volta, ha offerto un esempio di come una rivoluzione per rovesciare un dittatore possa essere seguita da una transazione pacifica. In tutti i seggi che ieri abbiamo visitato, dal quartiere benestante di Mituelville, al sobborgo di Douar Icher, uno dei più poveri della capitale, noto per essere una roccaforte salafita, molti elettori, si udivano spesso gli stessi commenti. Per quanto delusi e amareggiati per il cattivo andamento dell'economia, molti elettori con orgoglio ribadivano come la Tunisia sia oggi il solo Paese travolto dalle primavera arabe ad aver avviato un processo di trazione democratica finora credibile.”Io ritengo che la corruzione sia ancora molto alta, pressoché allo stesso livello dei tempi della dittatura, ma in Tunisia non accadrà mai quello che sta succedendo in Siria, Libia e Yemen. La nostra società, che ha un tasso di istruzione molto più alto degli altri paesi arabi, ha gli anticorpi per proteggersi da questa minaccia”, ci spiegava Sami Ben Gharbia , intellettuale e attivista dei diritti umani, uno dei fondatori di Nawaat, il più influente blog di dissenso in Tunisia già durante la dittatura di Ben Ali.

In fila per votare, Tarik Nasser, 71 anni , puntualizzava. «La cosa importante è che la gente sia d'accordo per avere elezioni credibili che portino al Governo uomini decisi a cambiare il Paese. Abbiamo vissuto quasi 60 anni sotto il giogo di due dittatori, Anche se in questo momento c'è disordine e instabilità , non è nulla rispetto a prima. Le cose cambieranno».

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