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Questo articolo è stato pubblicato il 31 ottobre 2014 alle ore 19:13.
L'ultima modifica è del 31 ottobre 2014 alle ore 20:17.

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Chi sono le donne di cui parla la Costituzione? Ci somigliano, ci piacciono? Siamo noi? Se lo chiedeva Mariella Gramaglia, figura indimenticabile del femminismo italiano da poco scomparsa, come ha ricordato oggi a Roma Alessandra Bocchetti, fondatrice del centro culturale Virginia Woolf. Da quelle riflessioni condivise è nato l’incontro pubblico “In contropiede - Snoq Factory rilegge la Costituzione con gli occhi delle donne”, che si è svolto a Palazzo delle Esposizioni. Un’esercitazione ricca di senso, quella promossa dal laboratorio creativo del movimento Se Non Ora Quando: cinque articoli della Carta costituzionale, un’attrice (Lucia Mascino) e cinque commentatrici d’eccezione. Per omaggiare le 21 madri costituenti che dopo la guerra lavorarono con i 535 padri costituenti al testo della Costituzione («Hanno fatto quel che potevano», ha osservato Bocchetti), ma anche per guardare oltre, in un momento in cui quella stessa Costituzione si sta radicalmente riformando. Per chiedersi, ad esempio, se la Carta riconosce alle donne piena cittadinanza o se invece regala loro una cittadinanza dimezzata. Se ci considera soggetti autonomi o invece soggetti da tutelare. Se va ripensata non soltanto per dire addio al bicameralismo perfetto ma anche per ricostruire un nuovo patto del vivere civile in cui donne e uomini abbiano piena cittadinanza, come ha suggerito la regista Francesca Comencini, chiedendo ascolto da parte delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato.

Articolo 3: l’uguaglianza calpesta le differenze?
Alla filosofa Luisa Muraro il compito di rileggere l’articolo 3 della Carta, quello che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini «senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Muraro ha attaccato proprio quel «senza distinzione di sesso»: uguali a chi?, come chiedeva Luce Irigaray. Che ne sarà del mio o tuo essere donna davanti a una legge falsamente imparziale che finge uguaglianza sessuale? Una finzione «tutt’altro che innocua», per Muraro: l’idea di una sfera pubblica abitata da cittadini neutri, in realtà uomini, che hanno relegato donne e bambini nel loro privato. La filosofa è stata netta: «Le madri costituenti non arrivarono a chiedere che il fatto dirompente della loro presenza entrasse nel testo della Costituzione». Lasciando che prendesse il sopravvento una concezione dell’uguaglianza «che separa l’essere umano dal suo corpo relazionale».

Articolo 22: l’assenza del cognome materno
«Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome». È davvero così?, ha chiesto ironica la penalista (ex deputata) Giulia Bongiorno. «Il nome è il segno d’identificazione della nostra discendenza, ci dice da dove veniamo. Il figlio è del padre e della madre, però spesso soltanto la madre fa rinunce per crescerlo. Ma se dobbiamo mettere il segno della discendenza in Italia mettiamo quello del padre. È una truffa di etichette». Bongiorno è critica con la legge sul cognome materno approvata dalla Camera («Affidando la scelta alla coppia finirà che col sorriso le madri saranno convinte a fare un passo indietro») per la quale non vede chance: «Bisogna fare una legge drastica, e alle donne dico: basta con il mito del quieto vivere».

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