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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2014 alle ore 12:10.
L'ultima modifica è del 09 novembre 2014 alle ore 14:32.

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Essere ottimisti è senza dubbio un atteggiamento costruttivo. Ma se lo specchio delle istituzioni sono anche le prestigiose e storiche sedi dove sono ospitate, c'è poco da stare allegri. Quando gli onorevoli della Nuova Libia sono costretti a vivere con le loro famiglie su un traghetto in una città al confine con l'Egitto – scelta per assicurare una pronta fuga in caso di emergenza - dissertare su temi quali Parlamento legittimo, Governo rappresentativo, sovranità nazionale, controllo del territorio, rischia di essere un vuoto esercizio retorico.

Ma è accaduto proprio così. Lo scorso agosto, solo due mesi dopo le storiche elezioni parlamentari, salutate dalla comunità internazionale come una pietra miliare nella transazione democratica del Paese, decine di onorevoli del nuovo Parlamento libico sono dovuti fuggire precipitosamente da Tripoli. Nella capitale infuriavano gli scontri tra la coalizione islamista, guidata dalle agguerrite milizie di Misurata e i gruppi legati al potente clan degli Zintani, vicini alla coalizione più laica. I primi hanno avuto la meglio. I nuovi parlamentari avrebbero dovuto partire alla volta di Bengasi. D'altronde la nuova ma ancora provvisoria Costituzione prevedeva che il Parlamento si insediasse a Tripoli e venisse poi trasferito nella capitale della Cirenaica, la regione nordorientale da cui partita la rivolta contro Muammar Gheddafi, nel febbraio del 2011. Una decisione per cercare di sopire le accese aspirazioni secessionistiche della Cirenaica, la regione più ricca del Paese. Ma anche Bengasi era territorio off limits. Con cellule ancora più estremiste che ancora in settembre controllavano e dettavano legge in diversi quartieri della città. Per non parlare della città di Derna, a due ore di macchina a nord, proclamata un Califfato islamico da gruppi di estremisti che non hanno esitato ad annunciare la loro alleanza con lo spietato Califfo dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi.

Restava Tobruk, ridente cittadina di 110mila abitanti al confine con l'Egitto circondata però da un territorio ostile. Lontana da Bengasi, 5-6 ore di auto. E separata da Tripoli da 1.300 chilometri di costa.
Ecco quindi la soluzione. Affittare un traghetto per ospitare le famiglie degli onorevoli in fuga. Diciassettemila tonnellate di stazza, con una capacità di 1.874 passeggeri e di 620 automobili, l'Elyros, nave di punta della compagnia greca Anek Lines in servizio da Patrasso ad Ancona, si è così trasformata in un hotel galleggiante. I camerieri greci erano quasi increduli. Non erano abituati a servire una clientela composta di affabili uomini libici in giacca e cravatta, sempre attaccati ai loro cellulari e ai computer. Tantomeno vedere i corridoi trasformati in parchi giochi per i bambini. E servire a volte le bevande nel salone del ponte, improvvisato a sala conferenze quando la situazione non consentiva agli onorevoli di riunirsi nell'Hotel sul porto allestito a Parlamento.

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